Villa Touma

Tre sorelle nubili appartenenti all’aristocrazia cristiana di Ramallah faticano ad accettare la realtà che le circonda: l’occupazione dei territori palestinesi e la fuga in massa della nobiltà locale. Per sopravvivere vivono rinchiuse nella loro villa, aggrappandosi disperatamente alla nostalgia delle glorie passate. Un giorno entra nella loro vita Badia, nipote orfana dei genitori, e sconvolge il loro mondo. Per preservare il nome della famiglia, le tre sorelle cercano di sposarla ad un buon partito dell’aristocrazia cristiana. Ma basterà trascinare Badia ad ogni funerale, matrimonio e cerimonia religiosa per trovarle un buon marito?

Già sceneggiatrice di film (La sposa siriana, Il giardino dei limoni) abitati da rilevanti figure femminili, la cineasta palestinese Suha Arraf esordisce nella regia con un’opera che mette in scena la resistenza al cambiamento sociale di quattro donne. Ultime esponenti di una dinastia aristocratica cristiana di Ramallah, vivono rinchiuse nella loro villa, in un tempo rivolto al passato, apparentemente non toccate dalla quotidianità della Palestina assediata. Villa Touma, così chiamata dal cognome della famiglia, è un melodramma che esplora un complesso labirinto di dinamiche familiari interpretato da un gruppo di attrici esemplari nel tratteggiare emozioni al tempo stesso represse e affioranti.

Suha Arraf è nata nel villaggio palestinese di Melia, vicino al confine con il Libano. Comincia la sua carriera nel cinema come produttrice di documentari. Fra questi, Women of Hamas (2010), da lei diretto e prodotto, ha vinto numerosi premi in festival internazionali. È autrice delle sceneggiature de La sposa siriana (2004) e Il giardino dei limoni – Lemon Tree (2008), entrambi diretti da Eran Riklis. Con quest’ultima, ha vinto il premio per la Miglior Sceneggiatura agli Asia Pacific Screen Awards e ha ottenuto una nomination agli European Film Awards.

NOTE CRITICHE di Mariella Cruciani

Cenerentola, prima, e Giulietta e Romeo, poi, ambientati in Cisgiordania: volendo sintetizzare efficacemente Villa Touma, opera prima di Suha Arraf, si potrebbe ricorrere a questa formula. La regista palestinese, già autrice delle sceneggiature di La sposa siriana (2004) e Il giardino di limoni (2008), entrambi diretti da Eran Riklis, esordisce alla regia con un’opera prima incentrata sulla figura di Badia (Maria Zreik), orfana dei genitori e accolta in casa da tre sorelle nubili, sue parenti, che vivono recluse in un’antica villa, incuranti  del tempo che passa e del mondo esterno. Juliette (Nisreen Faour) è la sorella maggiore e ha metodi da carceriera mentre Violette (Ula Tabari), sorella di mezzo, è invidiosa della giovinezza e delle possibilità di vita della nuova arrivata. Antoinette (Cherien Dabis) è la più giovane e la più vicina a Badia, per indole e per sensibilità. L’arrivo di Badia destabilizza il già precario equilibrio familiare: la ragazza si innamora, infatti, di Khaled, musulmano incontrato ai matrimoni e ai funerali ai quali viene trascinata da Juliette per farle incontrare e sposare un buon partito dell’aristocrazia cristiana. Venendo meno alle aspettative della sorella maggiore, la protagonista non solo si rifiuta di preservare il nome della famiglia appartenente all’aristocrazia cristiana di Ramallah ma provoca anche una sorta di riproposizione dei traumi passati, rimettendo in scena l’amore impossibile tra suo padre cristiano e sua madre musulmana o quello tra Antoinette e il fidanzato che, dopo l’inizio dell’Intifada, migrò negli Stati Uniti.

I fatti intimi, personali dei personaggi alludono, necessariamente, alla tormentata biografia della Palestina e lo stesso film può esser letto come una metafora della dolorosa questione israelo-palestinese. Seppur dai toni fiabeschi, Villa Touma è un melodramma al femminile altamente politico perché, come ha detto la regista, “dove viviamo noi tutto il personale è politico”. E ha aggiunto: “Tendiamo sempre a concentrarci sui profughi, sul muro e sull’occupazione. In genere, nel cinema, siamo rappresentati come eroi o come vittime e abbiamo dimenticato le persone rimaste nel mezzo. Erano le storie umili di questa gente che volevo raccontare”. La vicenda delle tre sorelle che si rifiutano di accettare la realtà che le circonda (l’occupazione dei territori palestinesi e la fuga in massa della nobiltà locale)  è, senz’altro, una forma di negazione del presente ma è anche, contemporaneamente, un modo di sopravvivere. Suha Arraf sceglie di girare in una situazione volutamente claustrofobica per rendere il senso di isolamento dei personaggi ma, nello stesso tempo, riesce a restituire la vivacità e la forza della vita, anche in un contesto come quello rappresentato.
Le attrici svolgono bene il loro ruolo e Maria Zreik, nei panni della protagonista, dà vita ad un personaggio innocente, profondo, intelligente : una figura femminile non ancora contaminata, non ancora soffocata dai pregiudizi e dagli stereotipi che, a tutte le latitudini, dividono e allontanano.

(Mariella Cruciani)


di Redazione
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