Tartarughe sul dorso

tartarughe-dorso-img1

tartarughe-dorso-img1Resa a parole, la vicenda al centro di Tartarughe sul dorso rischia di apparire estremamente semplice, forse banale: un lui tenebroso (Fabrizio Rongione) e una lei spaurita (Barbora Bobulova) si cercano, si inseguono, si sfiorano, senza mai incontrarsi veramente, finchè lui non viene ricoverato in ospedale e lei è il chirurgo che deve operarlo.
A quel punto, finalmente, i due si incontrano, si riconoscono, si amano, per poi separarsi di nuovo e ritrovarsi, infine, in una prigione dove lui è rinchiuso per aver colpito un uomo che ha fatto del male a lei.

Se, raccontata, questa storia risulta simile a mille altre e priva di interesse, sullo schermo, si trasforma, grazie ad uno stile di regia originale e inconsueto per un’opera d’esordio, in un film delicato e accattivante, a tratti, divertente.
Stefano Pasetto decide di non seguire il filo cronologico degli eventi, bensì di procedere per salti temporali in avanti e indietro, quasi per associazione d’ idee dei protagonisti: il ricordo, da parte di lui, della nuca di lei intravista in tram, il rosso del sangue sul casco della moto di lui sono dettagli da cui il regista parte per mostrare le tappe di una storia d’amore sofferta ma inevitabile.

E’ proprio il forte senso della Necessità, del Fato, del Destino, della circolarità delle vite (il film inizia con l’uscita dal carcere e finisce in carcere) a fare di questa opera prima un lavoro degno di attenzione. Il buon esito del film è dovuto anche al talento degli attori: se la Bobulova, come già ne La spettatrice di Franchi, incarna credibilmente una ragazza inquieta, Rongione dà vita ad un intrigante tipo di uomo, a metà tra Michele Apicella dei primi film di Moretti e il personaggio fortemente ambivalente interpretato da Ivan Franek in Brucio nel vento di Soldini.
Unico neo di questo riuscito esordio è una sorta di pesantezza e di compiacimento che si avverte, quà e là, quando gli sceneggiatori si lasciano troppo prendere la mano da riferimenti cinefili o suggestioni simboliche un po’ forzate.


di Mariella Cruciani
Condividi

di Mariella Cruciani
Condividi