Spira Mirabilis

Quarto film della coppia Massimo D’Anolfi e Martina Parenti, presentato in concorso alla 73ª Mostra del Cinema di Venezia, Spira Mirabilis intreccia diversi ambiti tematici che corrispondono idealmente ai quattro elementi naturali. Il fuoco, ovvero la comunità degli indiani Lakota come esempio ostinato, irriducibile e disperato di resistenza – un fuoco inestinguibile, pronto a rinascere da braci invisibili ma ancora ardenti. La terra, e quindi per traslato il marmo di cui sono fatte le moltissime statue del Duomo di Milano, perennemente erose dagli agenti atmosferici e perennemente ricostruite da un’equipe di solerti restauratori, in un ciclo che sembra non avere mai fine. L’acqua, dove vive l’affascinante, piccolissima medusa “immortale” Turritopsis, studiata dallo scienziato giapponese Shin Kubota, che per questa misteriosa creatura scrive perfino delle canzoni. Infine l’aria, quella che fa vibrare melodiosamente gli strumenti/sculture in metallo realizzati dagli svizzeri Felix Rohner e Sabina Schärer.

A tenere assieme queste frammentarie tracce visive, che si alternano ininterrottamente sullo schermo in una libera danza di immagini, l’attrice e ballerina Marina Vlady – nella penombra di un cinema abbandonato – legge L’immortale di Jorge Luis Borges, evocando paesaggi remoti e fantastici. A questo suggestivo racconto senza immagini, mera trasmissione sonora, i due registi associano in ultimo l’etere, non solo spazio atmosferico in cui si propagano le onde elettromagnetiche ma anche “quinto elemento” – da sommare a fuoco, terra, acqua e aria – secondo la filosofia greca.

La “spira mirabilis” del titolo altro non è che la spirale logaritmica definita “meravigliosa” dal matematico Jakob Bernoulli (1654 –1705), rintracciabile in natura in forme diverse e sorprendenti – dalla struttura di una piccola conchiglia a quella di un’immensa galassia, dal movimento vorticoso di un ciclone al volo esatto di un falco in picchiata – una spirale “il cui raggio cresce ruotando e la cui curva si avvolge intorno al polo senza però raggiungerlo mai”. Questo polo irraggiungibile, questo fulcro che genera un infinito movimento, può allora coincidere metaforicamente con l’idea dell’immortalità, sempre agognata e sempre irrealizzabile. Perché in un certo qual modo l’intero film – composizione poetica, divagazione immaginifica, labirinto di visioni, suoni e rumori – si inscrive in questa perspicua, ancestrale tensione: il confronto tra l’uomo e la finitezza della vita, e la volontà atavica, pertinace e utopica, di sovvertire questa naturale, e tuttavia inaccettabile, finitezza.

Se quello di Borges è il racconto che contiene emblematicamente tutti gli altri, è anche quello che offre, su questo tema, uno sguardo paradossalmente rovesciato: “Essere immortale è cosa da poco: tranne l’uomo, tutte le creature lo sono, giacché ignorano la morte; la cosa divina, terribile, incomprensibile, è sapersi immortali.” Al netto di ogni utopia, suggerisce lo scrittore argentino, l’eternità in ultimo spaventa e atterrisce.

Diseguale e stratificato, Spira Mirabilis trova i suoi momenti migliori quando concede spazio al lirismo e si apre all’immaginifico: i filmati di repertorio che raccontano la rivolta indiana del 1973 a Wounded Knee, testimonianza struggente e preziosissima, e le danze acquatiche delle meduse al microscopio, raccontate in immagini che trasfigurano in geometrie astratte e morbide che richiamano alla mente i dipinti di Kandinsky e Mirò. Da un lato lo scorrere del tempo e la testimonianza dolorosa della storia, dall’altro il mistero della vita e della morte, sono messi in scena con eloquente ed efficace essenzialità.

I passaggi dedicati alla costruzione degli strumenti musicali e al restauro delle sculture del Duomo, descrivono anzitutto l’incessante lavorio umano necessario a plasmare la materia: dalle cave di marmo fino ai volti delle statue perfettamente cesellati, dalle anonime lastre di metallo fino al suono incredibilmente meraviglioso e suadente degli strumenti a percussione, accordati uno ad uno per produrre vibrazioni uniche e singolari. E’ soprattutto in queste sequenze che i registi mettono in atto uno studio pedissequo – e volutamente disturbante – sull’aspetto specificamente sonoro, amplificando rumori assordanti ed estenuanti, per creare un contrasto tra la delicatezza dell’oggetto finito e la violenza del processo creativo indispensabile per ottenerlo.

Film fatto di opposizioni e frammenti più che di armonie e concordanze, Spira Mirabilis va apprezzato – più che per gli specifici discorsi che pone in atto – per la sua audacia nel concepire il cinema come mezzo di espressione libero e personale, svincolato da qualunque condizionamento narrativo o stilistico.

Trama

La comunità degli indiani Lakota tra passato e presente; il restauro delle moltissime statue del Duomo di Milano; i melodiosi strumenti musicali di Felix Rohner e Sabina Schärer; lo scienziato giapponese Shin Kubota alle prese con la minuscola e misteriosa Turritopsis, la cosiddetta “medusa immortale”. Infine, l’attrice Marina Vlady che in un cinema fantasma legge L’immortale di Jorge Luis Borges.


di Arianna Pagliara
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