L’ultimo bacio

Nell’irrefrenabile frenesia dell’esistenza, forse l’unica reale globalizzazione in cui le nostre vite sono quotidianamente immerse, hanno il loro posto prenotato l’insoddisfazione, l’inadeguatezza che si vive nei confronti dei propri desideri, la pigrizia nei riguardi delle responsabilità che in qualche modo ci si è assunti, la voglia perenne di conservare un’adolescenza incosciente e piena.

Due generazioni di donne alle prese con uomini che cercano di fuggire dal nido che essi stessi hanno costruito. Muccino è uno dei pochi registi giovani italiani che racconta la schizofrenica e sincopata voglia di vivere di chi, crescendo oggettivamente, nega le conseguenze che i riti sociali portano con sé.
L’alterità di Muccino sta nella sua sensibilità narrativa “straniera”, libera dal marchio di fabbrica che spesso allontana gli spettatori dal nostro cinema (quello attuale, ma con un occhio a Ferreri, Risi e Monicelli), e in una rara capacità di guidare gli attori.

Ancora una volta un film corale (e non potrebbe essere diversamente data la diffusa incapacità alla solitudine), in cui è evidente un approfondito lavoro di scrittura, reso sullo schermo da un articolato caleidoscopio di sentimenti, emozioni e barlumi di razionalità dei numerosi personaggi. Un film ambizioso che vibra, a volte con moto incontrollato, sulle corde di un ritornello che i personaggi devono ripetersi continuamente: “sono vivo”!
Così, accanto a chi fugge fisicamente dal se stesso rinnegato c’è anche chi ritrova il piacere della quieta borghese solidità familiare.


di Barbara Perversi
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