Frankenweenie

Tim Burton mette mano sul corto da lui realizzato nel 1984 per la Walt Disney e lo reinventa come lo aveva sognato. Non girato in live-action come era stato costretto per problemi di buget ma in stop-motion. Il risultato è molto d’effetto ma, soprattutto, permette a Burton di amare questa sua creatura donandogli tutta la magia che ci si possa immaginare. A causa di quel breve film, pensato per metterlo in apertura della riedizione di Pinocchio ma che per una valutazione Parential Guidance della censura presentato con il mediocre Baby – Il segreto della leggenda perduta, il giovane disegnatore fu licenziato e, forse, quello è stato lo sprone che lo ha trasformato in uno dei più interessanti ed originali autori di cinema.
Per la cronaca, nel ruolo della mamma del ragazzino c’era un’attrice di lusso, quella Shelley Duvall che quattro anni prima era stata la moglie di Jack Nicholson nello Shining di Stanley Kubrick.

Più convenzionale nello sviluppo e nella storia de La sposa cadavere e Nightmare Before Christmas, ha comunque tutti gli elementi che caratterizzano il suo cinema a partire da quel gusto per il gotico che affresca ogni immagine di una livida forza visiva.
Tornato al bianco e nero con un gusto vintage molto ben calibrato ottimamente supportato da un 3D finalmente coeso ad una storia, racconta con grazia e delicatezza dell’emarginazione, della solitudine, della vigliaccheria di chi non vuole vedere, sentire, accorgersi che il mondo non è come lo vorrebbe.

I personaggi sono quasi tutti negativi, a partire dai genitori di Victor a dir poco distratti, incapaci di capire ed apprezzare il loro figlio diverso. La madre non lo vede nemmeno anche se apparentemente lo coccola, non cerca di capirlo perché ha paura che una realtà differente la potrebbe mettere in crisi.
Il padre è un mediocre agente di viaggio che non vuole problemi, che accetta il figlio per non affrontarlo ma che da lui pretende diventi un massificato giocatore di baseball per evitare che i vicini lo considerino troppo strano.

Quando il cane muore (in realtà, per indiretta colpa del genitore) la madre lo consola dicendo che se potessero lo aiuterebbero a riportarlo in vita, ma poi ammette che aveva promesso qualcosa che pensava fosse impossibile. I compagni di scuola sono personaggi di rara perfidia, che cercano in tutti i modi di sfruttarlo per vincere il concorso di scienze. Non esitano a mettere in pericolo la sua vita, a derubarlo pur di ottenere il ‘sogno americano’ di primeggiare.

La compagna che possiede un gatto crede di essere superiore agli altri, parla attraverso oracoli interpretando le feci del suo insopportabile animale. Il sindaco di New Holland, la città in cui è ambientata la storia, è il classico politico arrivista che pensa unicamente al successo della giornata olandese per ottenere benevolenza e voti. Non si preoccupa di pericoloso temporale, di schiavizzare la nipotina costringendola a vestirsi come improbabile olandesina con candele gocciolanti sulla testa. Tutti gli abitanti della città, davanti all’incendio del campanile, vogliono fare giustizia sommaria uccidendo il nuovo Sparky.

L’unico personaggio che si salva è il supplente di scienze, con le sembianze guarda caso di Vincent Price che in Edward mani di forbice era l’inventore, il creatore di sogni. E’ lui che spiega l’importanza del sapere ma anche la necessità del cuore per realizzare qualsiasi sogno. Ma non sono da dimenticare gli spezzoni dei film di Christopher Lee visti dagli estasiati genitori del ragazzo che forniscono un chiaro legame al passato degli horror amati da sempre da Burton, la citazione (o, meglio, un omaggio quasi clonato) della lunga scena di Frankenstein Junior usata per fare tornare in vita il cagnolino.

Su Frankenstein si basa tutta la storia, il personaggio creato da Mary Wollstonecraft Shelley qui è la mascotte del protagonista, è scodinzolante, allegro, positivo ma fa paura lo stesso perché il diverso non ha mai avuto una vita facile, in qualsiasi epoca egli abbia vissuto.

Sicuramente Burton si è ispirato a James Whale di cui ha visto tutto, dal primo film basato sul personaggio realizzato nel 1931 con Boris Karloff nel ruolo del mostro ad altri titoli minori. Ma ha anche inserito le atmosfere dei tanti horror che ha visionato da ragazzino e che lo hanno aiutato a creare la magia de suo cinema. Ha saputo carpire il fascino di un mondo che lui conosce come pochi realizzando in un film solo apparentemente pensato per i bambini in cui il finale iperbuonistico accontenterà i produttori della Walt Disney, dove trovano spazio anche i Gremlins, i Grizzly, all’inizio un omaggio inequivocabile al precursore di Jurassic Park girato 60 anni orsono e intitolato Il risveglio del dinosauro, al cinema su King Kong.

Speriamo che questa volta la nomination agli Oscar porti al regista l’ambita statuina che aveva già sentito vicina con le altre sue opere di animazione.
E’ un film capace di creare tensione ed emozione, voglia di tornare al cinema per scoprire che anche in questo mondo spesso così bistrattato può albergare l’intelligenza e l’originalità.

Per concludere, alcune curiosità che possono aiutare a vedere cosa si nasconde dietro le quinte di un sogno come questo. Il regista dell’animazione, coordinatore della parte tecnica ma in parte artistica del film, è Trey Thomas supervisore all’animazione per Madagascar, direttore animazione per Shrek 2 ma anche collaboratore di Burton per La sposa cadavere.

Lo scenografo Rick Heinrichs vanta una lunga collaborazione con lui tra cui si annovera Il mistero di Sleepy Hollow che gli è valso un Oscar, i cortometraggi Vincent e Frankenweenie, i lungometraggi Pee-wee’s Big Adventure, Beetlejuice, Edward Mani di forbice, Batman – Il ritorno, Nightmare Before Christmas, Il pianeta delle scimmie e Dark Shadows.

Il grande compositore Danny Elfman collabora con lui dal 1985 anno in cui ha composto le musiche di Pee-wee’s Big Adventure. Tutte le colonne sonore, tranne quelle di Ed Wood e Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street sono sue. Il titolo è composto da due parti, Franken è in onore a Frankenstein, e weenie in americano significa miserabile: un mostro bistrattato anche nel nome che suona quasi come condanna.

La stop-motion è uno degli stili di animazione più lunghi e difficili da realizzare. L’animatore deve fermarsi e posizionare il pupazzo 24 volte per filmare un secondo di azione. In media, un animatore realizza 5 secondi di animazione a settimana. Sia lo story board che i disegni sono stati realizzati dal regista nel 1984, l’anno in cui è poi stato realizzato il live-action; altri disegni sono stati pensati per questo nuovo lungometraggio animato. Pur essendo giustamente considerato un corto, la durata del primo Frankenweenie era di 29’ e 15”, ‘quasi’ un mediometraggio.

Per il film sono stati creati oltre 200 pupazzi differenti, con 17 Victor e 12 Sparky ma poiché i 18 animatori hanno lavorato indipendentemente alle diverse scene, è stato necessario creare molteplici sosia, oltre ai pupazzi di riserva nel caso si fossero rotti. Da notare che attorno ogni animatore c’erano decine di altri tecnici che li coadiuvavano. Le dimensioni di Sparky, il primo pupazzo ad essere completamente realizzato, sono state limitate in dieci centimetri. La sua struttura è molto complessa: all’interno ci sono oltre 150 metri di filo semi duro per potergli donare le varie posizioni.

TRAMA

Victor è un ragazzo di dieci anni solitario, poco considerato dai genitori che vive in un mondo parallelo. E’ cinefilo, gira col Super 8 brevi film di fantascienza con protagonista il suo adorato cagnolino Sparky. Per accontentare il padre, va a giocare a baseball ma qui il suo cagnetto, per recuperare una palla, attraversa la strada e muore investito da un auto. Dolore insopportabile ma, grazie ad un esperimento sulle rane fatto da supplente di scienze, gli viene in mente di resuscitare l’amico. Va al cimitero, raccoglie il corpo, crea un lettino in cui si scaricano i fulmini e il miracolo avviene. Ma qui inizia il difficile: nessuno deve sapere di questo ritorno in vita.


di Redazione
Condividi