Domaine (Dominio)

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sic2009_domaine_3Pierre è un adolescente di 17 anni, irretito dal fascino intellettuale di sua zia Nadia, la cui dipendenza dall’alcol sta minando la sua salute. La loro relazione, molto esclusiva e ambigua, regolata da tempi, percorsi e abitudini sempre uguali, subisce progressivamente i contraccolpi sentimentali provenienti dall’esterno, che inducono i due a separarsi e a ritrovarsi a distanza di tempo senza però la possibilità di ristabilire l’intesa perduta.

L’idea del “dominio”, a partire dal titolo, è alla base di questo lungometraggio d’esordio complesso e suggestivo, caldo e passionale nonostante la sua freddezza apparente. Un film dove l’impianto colto, fitto di richiami alle teorie logico-matematiche di Kurt Gödel (1906-1978), serve a dissimulare, come nei celebri Racconti morali di Rohmer, la difficoltà a mantenere una relazione sentimentale dentro schemi e certezze, a fronte di eventi, persone, amori vecchi e nuovi sempre all’orizzonte. L’illusione della donna, incarnata da una Beatrice Dalle perfetta per il ruolo, consiste dunque nel conservare a tempo indeterminato un ordine esistente, senza invece fare i conti con gli inevitabili fattori interni ed esterni di sconvolgimento fisico, affettivo, relazionale. Questo eccentrico personaggio femminile affronta la vita come se si trattasse di un sistema formale o un insieme chiuso, allegoria a sua volta della rappresentazione cinematografica che iscrive il mondo reale nel perimetro dell’inquadratura, dei movimenti della macchina da presa, del racconto e dello spazio tra i personaggi. L’autore, grazie a una consapevolezza stilistica inconsueta e una mise en scène estremamente rigorosa, dimostra di coniugare una visione del mondo che è implicitamente anche una visione del cinema. La sconfitta di Nadia, elemento chiave di questo melodramma contemporaneo iscritto in un ordine cinematografico di implacabile e tragica perfezione, sigla anche la scansione temporale che obbedisce a criteri di progressivo smarrimento di impossibili certezze. Impossibili in quel fragile universo amoroso dove le parole servono solo a confondere di più i sentimenti e le idee.

Patric Chiha, 34 anni, austriaco d’origine e residente a Parigi dal 1993, regista, sceneggiatore, direttore della fotografia, montatore, tecnico del suono, stretto collaboratore di Vincent Dieutre in Bologna centrale, Mon voyage d’hiver e in Ea2, ha diretto i cortometraggi Casa Ugalde, Le Jardin e Où se trouve le chef de la prison?, il mediometraggio Home e i documentari De Vienne e Les Messieurs. Domaine è il suo lungometraggio d’esordio.

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RECENSIONE

Il “dominio” dell’opera prima di Patric Chiha è, inizialmente, quello esercitato da Nadia (Béatice Dalle) sul nipote diciassettenne Pierre (Isaie Sultan). Strada facendo, però, si assiste ad un rovesciamento e, alla fine, sarà la zia, ormai dipendente dall’alcol, a confessare la passione per il ragazzo. Se, nel film di Noce, Teodoro e Aman compiono parallelamente un percorso di formazione, qui è la figura del giovane Pierre a prendere, progressivamente, il sopravvento. “Domaine” è, come ha spiegato lo stesso regista, un film sulla crudeltà: Nadia è crudele perché chiede al nipote di salvarla, Pierre è crudele perché sceglie per lei. Attraverso la crudeltà, si diventa adulti: la zia dà il suo addio al mondo mentre il nipote inizia a scoprirlo. La pellicola è costruita proprio su questi movimenti contrari: la scomparsa e l’apprendistato. Il cammino, opposto, dei due personaggi non è solo interiore, ma anche fisico, concreto: Chiha realizza un “road movie”, seppur a piedi. Nadia e Pierre si incontrano regolarmente per passeggiare ma, pian piano, il parco cittadino viene sostituito dal bosco e, infine, da una fitta foresta, in Austria, nella quale lei si perderà definitivamente. Anche le parole, che in questo film hanno un ruolo fondamentale, mutano con l’evolversi della situazione: Nadia è il personaggio che parla di più ma, utilizzando sempre più parole, finisce per dire sempre meno. Lo scorrere del tempo che, inevitabilmente, trasforma persone, stati d’animo, opinioni, è scandito dalle didascalie che sanciscono la graduale perdita delle impossibili certezze, in campo sentimentale,e non. Anche il richiamo alle teorie logico-matematiche di Kurt Godel (1906-1978) non è un elemento puramente esteriore, bensì si muove in questa direzione: Nadia, matematica di professione, agisce come se l’esistenza fosse un sistema formale o un insieme chiuso. Godel interessa Chiha, soprattutto, come filosofo: il suo teorema dell’incompletezza è come una bomba che ha riaperto la matematica. In questo senso, è possibile trovare un legame con la storia del film: non esistono ordini, interni ed esterni, che possano essere conservati a tempo indeterminato, senza essere soggetti a mutamenti. Un’opera prima colta, raffinata, fredda, come la passione negata che, troppo tardi, Nadia rivela all’oggetto del suo desiderio, ormai distante.

Mariella Cruciani

INCONTRO CON PATRIC CHIHA

di Mariella Cruciani

E’ partito dal teorema di Godel, o viceversa?

Mi sono chiesto a lungo che mestiere dare a questa donna, poi ho pensato che dovesse essere una matematica. Godel mi sembrava interessante, non solo come matematico, ma come filosofo: il suo teorema dell’incompletezza ha riaperto la matematica. In questo, trovo un legame con la storia del mio film.

Domaine ricorda, per l’abbondanza delle parole, alcuni film di Rohmer…

Si, vedo questo legame, anche se, all’inizio, non mi ha ispirato. Io credo che il cinema sia il luogo ideale per la parola e non penso che un film senza parole sia più realistico di un altro. Io mi sono concentrato molto, oltre che sulle parole, sul ritmo, soprattutto per quanto riguarda il personaggio di Béatrice Dalle.

Béatrice Dalle, ha sempre incarnato, nei film, la difficoltà di stare alle regole, qui avviene il contrario. O no?

Io l’ho scelta perché e dolce e pericolosa, al tempo stesso: io la vedo con gli stessi occhi di Pierre, l’adolescente del film.

Alla fine, il personaggio da lei interpretato si perde definitivamente. L’eutanasia è l’unica soluzione possibile al suo dolore?

Nadia, alla fine, chiede la morte ma io non ho mai pensato all’eutanasia, in senso stretto. Per me, è un film sulla crudeltà: di lei che chiede al nipote di salvarla, di Pierre, perché sceglie per lei.

Nel film, il tempo che passa è scandito dalle didascalie. Anche il regista ha l’ossessione di controllare tutto, come la protagonista del film?

Io non controllo assolutamente nulla! Penso che sia B. Dalle la direttrice di tutto. Non so perché ma molti mi dicono che il film risulta molto controllato: in realtà, io non credo questo e ho lasciato agli attori la massima libertà di agire!

Mariella Cruciani


di Redazione
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