Un New Deal per una convivenza difficile

Rispondendo alla proposta di Franco Montini Giona A. Nazzaro, delegato generale della Settimana Internazionale della Critica dal 2016, affronta la questione relativa alle modalità di intervento e convivenza del mondo del cinema con il diffondersi del contagio da Covid-19.

Come affrontare tutte le problematiche derivanti dall’interruzione causata dal diffondersi del contagio da Covid-19 – comprese le problematiche che ancora non conosciamo e ancora non possiamo immaginare – è lo snodo chiave della ripresa delle attività di tutta la filiera del cinema, del teatro e non solo.
In queste settimane abbiamo – forse con troppa leggerezza – confuso distanza sociale con una momentanea necessaria distanza fisica. E già questo è un problema.
Tutte le attività inerenti alla diffusione della cultura – l’unico contagio interessante – sono da sempre e inevitabilmente legate alla mobilità delle persone, a sua volta segno della diffusione e mobilità delle idee. All’abolizione della distanza fisica. I luoghi deputati alla “celebrazione” laica di queste dinamiche come i cinema o i teatri sono parte integrante non di una mistica, retorica o – nel peggiore dei casi – interessi corporativi ma di un’idea forte e necessaria di comunità. Bisogna resistere – con tutti i mezzi possibili – all’idea della smaterializzazione della cultura. I supporti possono – in alcune circostanze – essere più leggeri e agili rispetto a quelli che abbiamo conosciuto attraverso tutto il ventesimo secolo come il libro e il disco di vinile, cui aggiungerei anche il CD e il Dvd. I luoghi no.

La sala – di un teatro o di un cinema – è diversa dal salotto di casa. Affermazione e constatazione banale. L’ideologia del “tanto tutto è in rete” confonde l’utilità di un mezzo (la rete) con la reale funzionalità, accessibilità, disponibilità e diffusione. Dimenticando che anche la rete ha le sue barriere. E le sue regole.
L’economia – ovviamente – ha le sue regole ferree, e queste saranno i punti intorno ai quali si ragionerà, calcolatrice alla mano, per immaginare il domani. Eppure, oggi, più che mai, piuttosto che ipotizzare un domani privo di virus al quale ci attrezziamo inutilmente sperando in un vaccino lungi da venire e chissà se ci sarà mai (ci auguriamo di essere smentiti naturalmente), bisogna abituarsi all’idea di vivere con il virus, sperando di disporre semmai presto di una cura (o un insieme di cure). Bisogna distinguere fra il ripristino della nostra vita culturale e quello dei profitti derivanti dallo sfruttamento commerciale dei “prodotti” della cultura. Bisogna accettare di andare “in perdita”, magari iniziando a pagare meglio operatori culturali e portatori di idee e novità. Creare nuovi posti di lavoro in seno alle istituzioni culturali. Il lasso di tempo necessario per tornare a una quasi normalità potrebbe essere troppo lungo per permettere a settori della nostra cultura già deboli come il teatro, il cinema e altro di resistere nel frattempo. Non siamo la Germania, né la Francia, purtroppo. E nemmeno il Portogallo. Bisogna investire. Ci vuole un vero e proprio New Deal della Cultura.
Le piattaforme digitali vanno benissimo – e ci mancherebbe – ma quanti nel nostro paese accedono regolarmente a Tënk, Mubi, Festivalscope altre ancore? Le piattaforme rischiano – se non lo sono già – di rappresentare solo una offerta possibile, e fra le loro quelle esistenti sono totalmente interscambiabili, e di costituire così un monoblocco pur nell’apparente diversità.

I conti economici sono un’incognita. E il rischio drammatico di una gravissima perdita di posti di lavoro è più che realistico. Eppure si deve in tutti i modi tentare di scongiurarla. Un paese non si salva solo perché la sua popolazione non ha contratto un nuovo virus la cui diffusione si fatica a controllare perché il servizio sanitario pubblico è stato menomato nella sua capacità di rispondere tagliando i posti letto di terapia intensiva al contrario di quanto è stato fatto in altri paesi.
Ripristinare le funzionalità dell’altro ieri è una priorità anche se la storia ci impone di guardare in avanti. Eppure si può e si deve avanzare organicamente. Non c’è altra opzione. Nessun mp3 – almeno per chi scrive – potrà mai sostituire il disco di vinile. Così come nessun ebook potrà sostituire l’oggetto libro. Bisogna che diversi formati e proposte coesistano nel medesimo spazio. Il cinema e il teatro, ciascuno con la sua dignità, possono coesistere con nuove modalità di fruizione. Devono e dovranno. Ma anche le nuove proposte digitali dovranno accettare l’idea che i cinema e i teatri non scompaiono. E questa è una responsabilità di tutti gli attori chiamati a ragionare sugli scenari futuri. Ancora una volta inevitabilmente. Bisogna comprendere che la fruizione non procede a una velocità unica, e che tempi e modi di fruizione, più sono ricchi e diversificati, più sono in grado in costruire e contribuire a un tessuto di anticorpi valido e resistente di un paese. Perché la velocità di fruizione (un certo tipo di velocità) è funzionale solo alla diffusione di una data tipologia di prodotti. Tutto ciò che non è assimilabile da questa chiamiamola streaming rate, rischia di restare fuori ma non deve.

È sempre letale quando la cultura, o meglio coloro che sono chiamati a promuoverla, tentano, per dimostrarsi all’altezza della complessità dei tempi, di prendere in prestito parole d’ordine, regole aziendali altrui, vagheggiando tagli e altre, queste sì!, irrealistiche “riduzioni di complessità”. Invece di gestire le nuove complessità.
Non ci sarà un post-Covid-19. Ci sarà un – per forza di cose – “con il Covid-19”. E mentre non possiamo che iniziare lentamente a immaginare come ristrutturare i nostri luoghi pubblici (e saranno riflessioni tecniche non di ordine generale come quelle esposte), sarebbe opportuno davvero immaginare che per la nostra cultura, che poi è di tutti, anche di coloro che preferiscono affermare che con la “cultura non si mangia”, un New Deal solidale, visionario, ampio, innovativo in grado di immaginare soluzioni possibili per quella che con ogni evidenza sarà una convivenza problematica e piena di incognite e sfide.


di Giona A. Nazzaro
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