Wim Wenders a Bologna

Marianna Cappi ha incontrato Wim Wenders al Festival del Cinema Ritrovato.

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“Come tutti i film sulla vita finiscono inevitabilmente per evocare l’idea della morte, questo film sulla morte ha tutte le porte e le finestre spalancate su un mondo di grande vitalità. Che altro non è che nostalgia della vita mentre la si vive, simulazione, recitazione, finzione.” Così scriveva Bernardo Bertolucci di Lampi sull’acqua – Nick’s Movie, il documentario di Wim Wenders, datato 1980, recentemente restaurato dalla Wim Wenders Stiftung e oggi presentato nella mecca del cinema dei grandi film in versione restaurata, il festival del Cinema Ritrovato.

Il film-testamento, dedicato all’amico Nicholas Ray, sarà disponibile dall’11 luglio in Dvd e sulle principali piattaforme digitali, mentre in autunno la cineteca di Bologna riporterà  nelle sale italiane Il Cielo sopra Berlino.

Ospite della manifestazione bolognese, Wenders si concede alla stampa per una breve chiacchierata che salta avanti e indietro negli anni e tra i titoli della sua ormai cinquantennale filmografia.

Il cielo sopra Berlino

«Il cielo sopra Berlino è stato per me un film del ritorno: avevo vissuto in America fino ad a quel momento e sono tornato, dopo Paris, Texas, per riscoprire il mio paese natale e il mio essere tedesco, che in America vivevo in maniera differente. Volevo dunque, in quel momento della mia vita, essere tedesco, fare un film sulla Germania ed essere aperto a tutto quello che fino a quel momento avevo rigettato. Berlino mi sembrava il posto giusto per attuare questo programma. Tornare a casa, poi, voleva anche dire tornare alla mia lingua, a sognare nella mia lingua natale e non più in inglese, come ormai mi capitava di fare. L’idea iniziale del film me l’ha data una poesia di Rilke, e poi ho cercato l’aiuto di Peter Handke per i dialoghi, perché nella Germania contemporanea era quello che scriveva nella lingua più bella. La poesia sull’infanzia che è nel film, Quando il bambino era bambino, è di Handke».

La guerra in Ucraina

«Sono molto turbato riguardo alla situazione Russa-Ucraina e lo sono soprattutto da un punto di vista culturale. La cultura russa non ha niente a che fare con quello che sta succedendo oggi. Putin sta facendo dei danni enormi, e uno dei danni collaterali è quello per cui alcuni paesi, che condannano l’invasione, stanno bandendo di conseguenza anche la cultura russa. Invece è necessario distinguere tra la politica dei pochi, guidata da logiche di potere e denaro, e la cultura russa, che è importante continuare a conoscere e preservare».

«I’m a beginner»

«Non riesco a dividere il mio cinema in periodi. Posso dire che questo è il mio periodo blu, per via degli occhiali che indosso, e che ho avuto un periodo rosso, forse ricorderete quel paio di occhiali. Ma la verità è che per me ogni film è un primo film. Con ogni film scopro un linguaggio da capo, capisco con quale linguaggio devo farlo. Per esempio, restando agli ultimi due film, Anselm è in 3D, mentre Perfect days non lo è. Entrambi sono film che non ho mai fatto prima. Per uno ho dovuto capire come raccontare il lavoro di un grande artista, per l’altro come raccontare un uomo che pulisce i bagni di Tokyo. Sono un principiante: devo sempre trovare un linguaggio nuovo per ogni film. Ma sono un principiante con una certa esperienza e questo non aiuta, perché per fare davvero qualcosa di nuovo devi dimenticare il vecchio te stesso e non è facile. In ogni caso non riesco a catalogare il mio cinema in periodi diversi, penso che questo sia ancora il mio primo periodo».

Fino alla fine del mondo

«Spero di poter mostrare Fino alla fine del mondo qui a Bologna, magari l’anno prossimo. La mia fondazione ha restaurato 20 film, uno dei quali con l’aiuto del Cinema Ritrovato, per cui possiamo dire di avere una certa esperienza. Fino alla fine del mondo è stato riportato al director’s cut di 4 ore e mezza, che diventa ora l’unica versione proiettabile perché le altre erano una sorta di reader’s digest del film, dei riassunti. Il film prediceva, nel 1990, molte cose che si sono poi avverate: il nostro essere schiavi dei telefoni cellulari, l’esistenza di Google, le conferenze via Zoom. Si tratta probabilmente del film più ambizioso che ho fatto, di uno dei più grandi film indipendenti mai prodotti, e quello di cui sono forse più orgoglioso. La versione lunga è il vero film e vorrei che venisse vista dal pubblico anche per capire il lavoro enorme che hanno fatto i musicisti che hanno collaborato a quell’incredibile colonna sonora».

Lampi sull’acqua – Nick’s Movie

«Sono molto orgoglioso anche del restauro di Lampi sull’acqua – Nick’s Movie, il primo lungometraggio documentario che ho fatto. È un documentario ma racconta una storia. Mentre alcuni miei film di fiction, nello stile, sono dei documentari. È in questo film, per la prima volta, che finzione e documentario si fondono e dunque è un film importante nella mia carriera, direi una pietra miliare».

La mortadella di Fellini

«Bertolucci è stato un grande amico. Pasolini avrei tanto voluto conoscerlo: ho visto tutti i suoi film e alcuni li conosco a memoria. Fellini l’ho conosciuto negli ultimi anni della sua vita e siamo diventati amici. Entrambi, quando mangiavamo qualcosa, ci macchiavamo la camicia istantaneamente. Non c’era scampo. Succedeva anche col gelato. Tonino Guerra mi ha raccontato di quando hanno comprato insieme un panino alla mortadella, Fellini l’ha diviso a metà, la mortadella è caduta, lui si è chinato e gli è finita sul suo collo. “E adesso come faccio a spiegarlo a Giulietta?”, si lamentava, perché lei odiava la sua tendenza a macchiarsi, sul collo poi! E io sono uguale. Ieri, qui a Bologna, mi sono dovuto cambiare due volte».


di Marianna Cappi
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