La modernità di Rossellini – Intervista a Adriano Aprà

L'intervista ad Adriano Aprà in versione integrale è stata pubblicata sul numero 41 (gennaio - marzo 2006) di CineCritica.

Roberto Rossellini

SPILA: Roberto Rossellini è sempre stato considerato – e non solo dai rosselliniani – un autore alfiere della modernità, sia per il suo interesse verso le tecnologie e per tutto ciò che di nuovo accadeva nel mondo, sia per le tante strade che ha aperto al cinema, per le sue anticipazioni, i fermenti offerti alle nouvelles vagues, il suo modo di porsi di fronte ai problemi dell’arte e al rapporto con il pubblico. Oggi, a tanti anni dalla sua scomparsa, nel momento in cui il sistema audiovisivo è completamente esploso, con l’avvento del digitale, l’espansione della rete, la diffusione e la banalizzazione dei mezzi di riproduzione, cosa resta di Rossellini e della sua modernità?

APRÀ: La mia esperienza ormai quarantennale con Rossellini mi ha portato a pensare che il suo cinema si rinnova col rinnovarsi delle generazioni. Personalmente ho fatto tre esperienze che considero molto importanti. La prima è il seminario svolto a Pisa nel maggio 1969, organizzato con Gianni Menon e che venne pubblicato nel 1972 in un libro dal titolo Dibattito su Rossellini, ormai introvabile. L’idea era venuta da una precedente iniziativa svolta con dei giovani responsabili dei circoli del cinema Arci-Ucca, in cui tra gli altri film avevamo proiettato Europa 51. Il film aveva suscitato un’enorme impressione in quei giovani che lo interpretarono in chiave sessantottesca, come film “cinese”, per la critica frontale che faceva alle istituzioni “totali” (la famiglia, la fabbrica, l’ospedale, ecc.). A quel punto decidemmo di organizzare un seminario interamente dedicato a Rossellini. I partecipanti erano dei ragazzi per la maggior parte su posizioni politiche extraparlamentari ma non necessariamente appassionati di cinema. Il dialogo che ne scaturì fu straordinario, nel senso che vennero dette cose che, secondo me, non erano mai state dette prima su Rossellini e sul suo cinema. Io ho imparato molto da quei ragazzi e ho avuto la prova che se metti delle persone di fronte ai film di Rossellini, nelle condizioni giuste, nel senso che non devono avere il dovere di esprimere un sapere che non hanno, che non si sentano in imbarazzo ma viceversa liberi di abbandonarsi alle sensazioni più profonde, sicuramente vengono fuori delle cose straordinarie. Una cosa simile l’ho ripetuta anni dopo, nel 1987, durante la Mostra di Pesaro, quando accanto a una retrospettiva e a un convegno internazionale su Rossellini, feci dei seminari per poche persone, per lo più giovani. Anche in quel caso percepii che le cose più interessanti venivano dette da ragazzi che vedevano per la prima volta i film di Rossellini. Purtroppo in quell’occasione non abbiamo registrato niente e rimane quindi solo la mia testimonianza. La terza esperienza l’ho fatta all’Università di Roma Tor Vergata, svolgendo un corso sul periodo Rossellini-Bergman, che comprendeva però anche Francesco giullare di Dio. Anche lì ho verificato come questi ragazzi, che quasi non sapevano chi fosse Rossellini, venivano illuminati dai suoi film.

Ecco, Rossellini è perfetto per gente che non ha esperienza di cinema, per chi non è cinefilo e quindi non ha un sapere precostituito né pregiudizi da distruggere o confermare. Con i suoi film si stabilisce un contatto immediato, vengono toccate delle corde profonde che vanno oltre il cinema, ed è un fenomeno che si rinnova di generazione in generazione. In questo senso aveva ragione Rossellini a dire di non essere un cineasta, che sarebbe stata in fondo una cosa riduttiva, ma di considerarsi un uomo che cercava di stabilire un rapporto con altri uomini. Io che sono testimone di queste manifestazioni, e che credo di sapere molto di Rossellini, mi accorgo che si tratta di un autore ancora molto produttivo. E’ inesauribile.

Parallelamente alla sua inesauribilità c’è da dire che Rossellini non sarà mai un cineasta alla moda. Non è Pasolini, non è Fellini, né Antonioni o Visconti, ai quali ci si può agganciare anche grazie a degli equivoci critici, come sta succedendo, ad esempio, in modo clamoroso con Fellini e Pasolini. Il rischio con tali cineasti è che vengano letti in superficie, attraverso elementi che funzionano secondo il gusto del momento. Con Rossellini questo non accade, e del resto è sempre stato così. Basta andare in un negozio di dvd e te ne accorgi, Rossellini non c’è. Io i suoi film li trovo in Francia, in Spagna, anche in Giappone. Per Rossellini in Italia non c’è mercato, non ha mai avuto mercato. I suoi successi in carriera sono stati solo quattro: La nave bianca, Roma città aperta, Il generale Della Rovere e il Luigi XIV, e anche questi successi, poi, si sono basati su degli equivoci. Per il resto c’è sempre stata una distanza, un’incomprensione assoluta. Come diceva Godard a proposito di India: «Rossellini è in anticipo di 20 anni». Oggi possiamo dire che era in anticipo molto di più, nel senso che non corrisponde alla sua epoca, è una meteora che attraversa il suo tempo lasciando molte tracce, molti insegnamenti. In questo senso la modernità di Rossellini corrisponde alle varie epoche: negli anni ’40, in cui ha comunque suscitato un dibattito fondamentale con il neorealismo; negli anni ’50 quando in Francia hanno letto Viaggio in Italia ed Europa ’51 come i film della modernità, i film che poi avrebbero annunciato la nouvelle vague; infine, negli anni ’60 e ’70, il periodo del cinema televisivo che, al momento, lasciò indifferente la gran parte degli addetti ai lavori ma che oggi, capito che l’insegnamento non può prescindere dall’audiovisivo, viene recuperato e ritenuto fondamentale.

Ci sono poi altri aspetti di Rossellini, meno evidenti ma altrettanto importanti. Ad esempio, Rossellini è un autore formalista, o meglio, il suo cinema necessita di una lettura formalista, perché siamo di fronte a un grande stilista. L’idea che comunemente si ha di lui come di un regista improvvisatore e istintivo, un’idea che del resto lui stesso ha contribuito a divulgare, è profondamente sbagliata.

SPILA: E’ un equivoco su cui riflettere. Rossellini amava prendere le distanze dai suoi film fatti, ma perché preferiva parlare dei film che doveva ancora fare, dei tanti progetti a cui stava lavorando. Confessava di aver girato i suoi film spesso senza sceneggiatura, si vantava di fare pochi ciak sul set e di non pretendere di inseguire la perfezione, ma poi i suoi film hanno uno stile sempre molto controllato, sono sempre molto personali e riconoscibili.

APRÀ: E’ vero. Recentemente mi sono dovuto occupare de Il generale Della Rovere, e quindi ho letto tutto ciò che è stato scritto sul film e anche quello che Rossellini ha detto in occasione dell’uscita. Intanto è molto interessante rilevare la sua onestà intellettuale, perché ha sempre dichiarato, prima di ricevere il Leone d’oro a Venezia ma anche dopo, che per lui era un film di mestiere, fatto senza particolari coinvolgimenti personali. Si sa, però, che gli autori non sono i migliori giudici delle loro opere, e io considero Il generale Della Rovere un film personalissimo, addirittura un film-confessione. Un caso particolare è capitato di recente a Parigi, quando a fine gennaio la Cinémathèque ha inaugurato la prima retrospettiva veramente completa di Rossellini proiettando proprio Il generale Della Rovere. Ho chiesto a Serge Toubiana, il direttore della Cinémathèque, il perché di tale scelta, se rispondeva solo a ragioni di opportunità, dato che è un film di richiamo, che piace al pubblico, e lui mi ha risposto di no, il motivo era che si voleva dare alla retrospettiva un taglio non convenzionale, e quindi iniziare con un film che non ci si sarebbe aspettati. Ebbene, il risultato è stato straordinario. La gente presente alla serata di apertura, e si trattava di un pubblico di invitati che quindi conosceva bene Rossellini, è rimasta sconcertata davanti al film, rivisto nell’occasione con occhi nuovi. Questo per confermare che l’esperienza di vedere Rossellini “con occhi nuovi” riguarda tutti.


di Piero Spila
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