La formazione per un nuovo pubblico

L'editoriale di Franco Montini pone l'attenzione sulla necessità della formazione per leggere e apprezzare forme di linguaggio cinematografico diverse dalla più consueta ed ovvia banalità.

A Ciambra di Jonas Carpignano, il miglior film italiano dell’anno secondo l’esito del referendum svoltosi fra i soci della nostra associazione, ha incassato complessivamente 150 mila euro, richiamando in sala circa 30 mila spettatori. Certo, da un film produttivamente piccolo e privo di presenze illustri non era ragionevole attendersi incassi milionari, ma, in relazione alla qualità dimostrata, i numeri ottenuti da A Ciambra sono davvero deprimenti. E tuttavia non si tratta di un’eccezione. Come dimostrano, per citare solo qualche esempio, anche i risultati di Cuori puri, Sicilian Ghost Story, Orecchie, L’intrusa, L’equilibrio, Gatta Cenerentola l’esito commerciale del miglior cinema nazionale, indipendentemente dal genere, è sconfortante.

Il cinema italiano d’autore sembra aver perso la capacità di suscitare attenzioni, attrarre spettatori e dialogare con il pubblico e il fatto che nel 2017 tutta la produzione nazionale, compresi i prodotti più popolari, siano andati incontro a ripetuti flop non può essere considerata una consolazione. Tutt’altro, perché se le delusioni del cinema dichiaratamente commerciale, nella stragrande maggioranza dei casi, sono spiegabili con la povertà della scrittura e la banalità della messa in scena, resta più difficile individuare le motivazioni dell’insuccesso di film artisticamente riusciti ed interessanti. Le motivazioni nel caso dei titoli citati vanno dunque ricercate a monte, ovvero nell’incapacità del pubblico di leggere ed apprezzare forme di linguaggio cinematografico diverse dalla più consueta ed ovvia banalità. In altre parole un certo cinema d’autore nazionale, che poi è quello che viaggia maggiormente all’estero, guadagna consensi e riconoscimenti nei grandi festival internazionali, mentre nel mercato sala italiano continuerà ad incontrare difficoltà, finché non si sarà creato un nuovo pubblico e non si saranno forniti agli spettatori che frequentano il grande schermo i mezzi per comprendere ed apprezzare narrazioni originali e raffinate. Si tratta di strumenti che oggi sembrano possedere solo le fasce di spettatori più maturi, cresciuti con una televisione pubblica, che, per un lungo periodo, ha svolto un importante compito educativo con la programmazione di cinema di qualità e rassegna tematiche. Non è un caso che le sale d’essai, negli anni ’60 e ’70 frequentate prevalentemente da un pubblico giovanile, siano oggi popolate in grande misura da spettatori over 50 ed oltre.

La necessità della formazione è stata recepita anche dalla nuova legge cinema, che di fatto comincerà a funzionare concretamente dal 2018. Il provvedimento Franceschini prevede che il 3% delle risorse minime destinate al settore audiovisivo, ovvero 12 milioni di euro all’anno, siano spese a favore dell’educazione al linguaggio dei media. La cifra stanziata e l’auspicato coinvolgimento nel progetto del MIUR (Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca) potrebbe rendere finalmente realizzabile un antico e reiterato sogno del SNCCI: introdurre l’educazione al linguaggio audiovisivo nella scuola italiana di ogni ordine e grado.

I 12 milioni di euro della legge cinema dovranno essere spesi bene. Esistono molti modi di fare formazione; anche le proiezioni e gli incontri con gli autori rappresentano indubbiamente modalità formative, ma sporadiche iniziative di questo tipo, pur utili e apprezzabili, non possono certamente risolvere il problema del nuovo pubblico. L’educazione all’immagine deve iniziare a svolgersi prevalentemente nella scuola e deve essere affidata a personale preparato e specializzato, come avviene per tutte le materie curriculari. In questo senso è evidente che i critici cinematografici in primis, così come i laureati delle cattedre cinematografiche e dei vari Dams, dovrebbero essere i principali soggetti ad essere ingaggiati per svolgere questo compito.

L’importante è che le risorse messe a disposizione della nuova legge non si disperdano in finanziamenti a pioggia, come troppo spesso accaduto in passato nel sostegno pubblico al cinema, ma si vari un progetto nazionale in cui coinvolgere, oltre alle cattedre universitarie di cinema, anche le maggiori istituzioni cinematografiche del paese: il Centro Sperimentale di Cinematografia, Luce-Cinecittà, le varie Case del cinema sparse sul territorio nazionale, le fondazioni che organizzano i maggiori festival, che dovrebbero impegnarsi anche in attività permanenti finalizzate alla formazione. Questo ampio ed articolato progetto non può prescindere dal coinvolgimento dei critici.


di Franco Montini
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