Incontro con Ernesto Pagano, regista del documentario Napolislam

Napolislam, regia di Ernesto Pagano (2015 - doc.)

Napolislam è un documentario di Ernesto Pagano: dieci personaggi, dieci storie per mostrare l’avanzata dell’Islam anche a Napoli. Si va dal ragazzo che si converte perché deluso dall’impegno politico alla ragazza che diventa Amina per amore di un giovane algerino: sono percorsi di vita diversi ma accomunati da un unico desiderio, quello di rinnovarsi e di ricominciare. In una società, come la nostra, caratterizzata da ingiustizie sociali, corruzione, criminalità, il Corano appare ai protagonisti del film come l’unico antidoto ai mali del mondo. Progettato nel 2007, Napolislam è stato girato tra il 2014 e il 2015, anno dell’attentato alla redazione di Charlie Hebdo: i neo-musulmani di Pagano condannano l’Islam come metafora del terrore ma lo promuovono come modello di civiltà. Per loro, la forza dell’Islam non sta nelle bombe e nel terrorismo ma nella capacità di opporsi al consumismo e ai falsi valori.

Quale è stato il tuo approccio a questo mondo?

Ho tentato di scomparire dietro le storie, ho provato ad avere un approccio da cronista, nel tentativo di prendere le distanze. Questo approccio ha creato, in qualche caso, un equivoco: alcuni mi hanno riconosciuto scarsa personalità, altri hanno visto nel film un manifesto filo-islamico. In realtà, non sono l’ufficio stampa di nessuna moschea! I personaggi del film sono “carini” e simpatici, forse, perché nessuno, prima di me, si è fermato a guardarli. Ho cercato di distruggere stereotipi, restituendo umanità alle persone: se, poi, qualcuno di loro pensa che la società ideale è quella in cui regna la Sharia, mi dissocio.

Come è avvenuta la preparazione del film?

Prima di accendere la telecamera, c’è stato un lungo periodo di frequentazione, da parte mia, di moschee e musulmani. All’inizio, mi sono presentato come giornalista e questo ha creato problemi! Il primo incontro è avvenuto, dieci anni fa, con Ciro, un ragazzo che nel film non compare: lui mi ha raccontato che cercava in libreria un libro su Maradona e di essere stato, invece, attratto da un libro nero: il Corano. Ciro si è, poi, convertito e ha convertito Francesco, che compare nel film, Francesco ha convertito altre persone… Insomma, nel quartiere, si è creata una piccola cellula di islamizzazione.

Per il tuo documentario, hai scelto una prospettiva intima, domestica: gli eventi internazionali sono citati ma sembrano distanti..

Il mio è un film sull’Islam ma anche su Napoli: la moschea è a due passi dalla chiesa della Madonna del Carmine. Quando abbiamo fatto le riprese, la festa della Madonna coincideva con la fine del Ramadan, così abbiamo intrecciato questi due momenti. Per quanto riguarda gli eventi internazionali, essi hanno solo sfiorato i convertiti del mio film. Mi interessava anche questa distanza: gli attentati di Parigi sono lontani anni luce dalla realtà di queste persone, anche se, a volte, venivano attaccati per fatti come questi.

Tu hai studiato l’arabo e vivi a Il Cairo. Come è , lì, la realtà?

Si, ho fatto Studi Islamici a Napoli e poi sono andato a Il Cairo, dove ho conosciuto la mia attuale compagna. Parlare di Islam a Il Cairo è complicato: quale Islam? Il musulmano medio è come il cattolico medio ma, poi, c’è l’Islam politico, ci sono tanti modi di vivere l’Islam!

E a Napoli?

Anche qui ci sono varie modalità: si va dal rapper che ha un approccio quasi mistico al ragazzo che ne fa una questione di giustizia sociale. In mezzo, ci sono tante cose…

C’è qualcosa che avevi in mente e non hai potuto sviluppare, nel film?

Ci sono state delle resistenze, da parte di alcuni dei personaggi, per esempio la moglie di Francesco non ha voluto mai farsi riprendere completamente: lei c’è, ma sempre di spalle. Il parrucchiere ha, secondo me, un mondo molto interessante da indagare: mi sarebbe piaciuto entrare nella sua famiglia! Lui ha un figlio con i capelli dritti, alla “Amici” di Maria che, però, va in moschea a pregare con il padre. Ottenere la fiducia di queste persone è stato complicato: mi ha facilitato solo il fatto di aver studiato l’Islam!

E’ interessante anche il rapporto tra madre e figlia convertita, per amore di un giovane algerino…

La scena del velo, tra madre e figlia, può sembrare una commedia napoletana, ma non è così: è tutto vero! Per loro, era un momento importante: la nostra presenza, forse, ha permesso a madre e figlia di confrontarsi davvero. Il documentario non riproduce semplicemente: a volte, suscita, produce realtà.

Consideri l’Islam una religione maschilista?

All’inizio, l’Islam era una religione a favore delle donne: il diritto islamico, per esempio, prevedeva il pagamento degli alimenti. Che dire? Io sono laico e osservo che le grandi religioni monoteiste hanno sempre avuto profeti uomini. Forse, bisogna chiedersi perché…

Nel film c’è una Napoli popolare. Qual è, invece, il rapporto tra la Napoli “altolocata” e l’Islam?

Avevo, originariamente, pensato di raccontare anche gli strati sociali più alti ma i casi di conversione sono rari:  so che alcuni studiosi dell’Università si sono convertiti ma, poi, mi sono lasciato affascinare da un Islam avulso da un approccio libresco. In tutti i percorsi delle persone del film, c’è la ricerca di una nuova identità, un riscatto, un cambiare nome attraverso un pacchetto di regole che l’Islam ti trasmette. In questo modo, si vivono in modo diverso anche le proprie privazioni, come dimostrano i discorsi di Francesco sulla società dei consumi. L’Islam, oggi, trasmette un sistema di valori a chi è in crisi e non si riconosce nella società in cui vive: supplisce, insomma, ad un vuoto di ideali, di ordine, di moralità!


di Mariella Cruciani
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