Roman Polański: A Film Memoir

Ben pochi sceneggiatori sarebbero in grado di inventare una vita che possa anche solo lontanamente rivaleggiare con quella di Roman Polański sia sul piano delle tragedie che l’hanno costellata che su quello dell’incredibile forza d’animo con cui ha reagito trasformandole in arte colui che ne è stato lo sfortunato protagonista. Un insieme di accadimenti più o meno sventurati nella loro fatalità che, pur dovendo in teoria solo far parte della sfera privata, sono diventati di fatto elementi pubblici per via della risonanza mediatica che hanno ricevuto in quanto occorsi a una delle personalità artistiche più controverse e dibattute degli ultimi quarant’anni.

A rievocare questa lunga sequenza di disgrazie (ma anche di errori giudiziari) sono i 94 minuti di Roman Polański: A Film Memoir, la video-intervista presentata in anteprima a Cannes lo scorso 17 maggio e incentrata sugli incontri che il regista franco-polacco e l’amico e produttore inglese Andy Braunsberg ebbero nello chalet di Gstaad a fine 2009 mentre Polanski era costretto agli arresti domiciliari a seguito appunto degli strascichi giudiziari di una delle tante vicende ripercorse nel film.

Prodotto dallo stesso Braunsberg – che Polanski conobbe a Londra nei primi anni ’60 e che da allora è stato il produttore di molti dei suoi film – ma anche da Luca Barbareschi e diretto dal documentarista franco-statunitense Laurent Bouzereau (già autore di interessanti saggi per immagini sul”making of” di alcuni film di Lucas e Spielberg), Roman Polański: A Film Memoir ha una struttura volutamente spoglia pensata sia per rendere quanto più incisivo possibile ciò che Polanski racconta che per impedire a materiale esterno alle rievocazioni del regista di avere il sopravvento drammatico su quanto viene dolorosamente richiamato alla memoria. Con una camera fissa piazzata all’interno dello chalet di Polański a Gstaad, Brausberg pone all’amico domande molto dirette che sono assist alla memoria per costringerlo formalmente nell’angolo e portarlo di fatto a fare i conti con la propria vita mentre ne rievoca il rosario di devastanti sventure che l’hanno accompagnata.

A fare da detonatore narrativo al tutto è quella che, pur non essendo forse la più traumatica, ha di certo avuto conseguenze di più lunga e dolorosa durata: costretto agli arresti domiciliari dopo essere stato arrestato a Zurigo nel settembre del 2009 a seguito di un mandato di cattura internazionale emanato dalle autorità USA nell’ambito del processo intentatogli per aver drogato e violentato una tredicenne a Los Angeles nel lontano 1977, il regista franco-polacco accetta di rispondere alle scarne domande dell’amico. Domande anche feroci nella loro volontà di arrivare al cuore dei problemi per offrire lo spunto di un ritratto del tutto inedito di un Polański privato e anche fragile che cozza con l’immagine scostante e a volte volutamente fastidiosa che egli ha spesso dato di sé nei contatti con i media.

Si tratta di un viaggio doloroso che parte dalla tribolatissima infanzia polacca, coi ricordi della deportazione della madre ad Auschwitz e di quella successiva del padre a Mathausen (scomparsa la prima, sopravvissuto miracolosamente il secondo), e arriva appunto fino alle grottesche vicende del 2009-2010 con gli arresti domiciliari comminatigli da uno zelante giudice di Bellinzona e quindi con la negazione dell’estradizione negli USA e la revoca di ogni forma di decreto detentivo a suo carico. In mezzo a questi due sofferti capolinea di un viaggio all’insegna della sofferenza interiore si spalanca tutto il resto della vita di Polański. Una vita vissuta nel nome della violenza (soprattutto subita) e dell’intrusione nella privacy.

Il documentario è a cuore aperto perché Polański accetta di rievocare anche i due episodi della sua vita che sono stati certamente più traumatici e forieri di strascichi senza fine negli anni successivi. Stiamo parlando dell’assassinio della moglie Sharon Tate, trucidata insieme a quattro amici da Charles Manson e dai suoi seguaci mentre era all’ottavo mese di gravidanza. E solo perché Polański aveva avuto l’infelice idea di affittare una villa di Bel Air che in precedenza aveva ospitato un produttore cinematografico reo di aver rifiutato delle canzoni di Manson. Accanto a questa viene poi rievocata anche l’interminabile vicenda giudiziaria che fece seguito alla già citata violenza sessuale ai danni di una tredicenne, e per la quale il regista è a tutt’oggi ricercato dalle autorità statunitensi. Vicenda giudiziaria che nel 2007 era già stata ripercorsa in tutta la sua complessità dal documentario Roman Polanski: Wanted and Desired della film maker Marina Zenovich che ne mise in luce tutti gli aspetti più controversi dimostrando coi fatti come fosse stata un caso eclatante di errore giudiziario e di pessimo funzionamento di un intero sistema.

Coraggiosa e insieme molto intima, questa intervista-verità non è il classico pezzo di cinema auto celebrativo che una star dedica a se stessa per fini incensatori o a titolo di autodifesa. Tutt’altro. Si rivela infatti essere un tassello di importanza assoluta per chi ha amato il cinema di questo autore complesso e tormentato perché documenta come il dolore e la sofferenza che ne hanno caratterizzato la vita alimentino moltissime delle sceneggiature da lui scritte e messe in scena. Come accade in particolare per Il pianista alcune delle cui scene più toccanti si rivelano essere null’altro che una trasposizione in immagini di frammenti di vita vissuta da Polanski (commosso fino alle lacrime mentre li rievoca) e dalla sua famiglia durante l’occupazione nazista di Varsavia. Una connessione diretta tra vissuto e rappresentazione sullo schermo che appare ugualmente manifesta anche in film nei quali la finzione cinematografica può sembrare molto meno artificiosa se ripensata alla luce di accadimenti che hanno segnato in modo irreparabile un’intera esistenza.

Se poi tutto questo non bastasse a fare di Roman Polański: A Film Memoir un film davvero importante perché in parte circoscritto “soltanto” alla relazione tra il vissuto personale e la sua trasposizione nelle creazioni artistiche, ad attribuire ulteriore valore alla video-intervista c’è un altro dato che non può essere trascurato all’atto della sua visione: la rievocazione delle tribolazioni e delle sventure di un singolo – pur nella sua assoluta eccezionalità – diventano un viaggio a ritroso attraverso sessant’anni di Storia di tutti noi e di un passato che non smette di allungare le sue cupe ombre sul nostro presente sempre più povero di indizi di un qualche futuro possibile.

Trama

Mentre è costretto agli arresti domiciliari nella sua casa di Gstaad, Roman Polański rievoca in una lunga intervista/conversazione con un amico produttore inglese la propria esistenza costellata di traumi e tragedie sin dalla prima infanzia.


di Redazione
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