Third Person

Paul Haggis è ottimo sceneggiatore ma non sempre quando si pone dietro la macchina da presa ottiene risultati di pari livello o, quantomeno, accettabili. Dopo il ben riuscito Crash: Contatto fisico (Crash, 2004), che aveva conquistato tre Oscar (tra cui quello per migliore film e migliore sceneggiatura), si è dovuto attendere Nella valle di Elah (In the Valley of Elah, 2007) per trovare un’altra regia interessante. Come sceneggiatore non sbaglia un film, soprattutto negli script per i film di Clint Eastwood, tra cui Million Dollar Baby (2004) e Lettere da Iwo Jima (Letters from Iwo Jima, 2006).  La stessa bravura la dimostra in opere meno impegnate quali il James Bond di Casino Royale (2006), diretto da Martin Campbel. Quando dirige sembra combattere con una frustrazione datagli dai colleghi che hanno trasposto le sue pagine in opere cinematografiche. Forse si sente da loro traditi e cerca di dimostrare la sua abilità dimenticandosi che il film è anche la ricerca della bellezza esteriore, ma non solo quella.

In questa occasione ha basato tutto lo sviluppo narrativo sulla molteplicità di azioni contemporanee in spazi diversi. In questa maniera crea non poca confusione e disinnamoramento da parte di un pubblico mai coinvolto realmente nelle esasperate ed esasperanti ricerche dell’effetto visivo, dell’inquadratura perfetta, delle ombre che drammatizzano i volti dei protagonisti.  Nei primi minuti si spera possa essere un suo edonistico modo di presentare i sei personaggi principali, ma ben presto ci si accorge che quello è la sua maniera di raccontare.

Il limite principale del film sta proprio nel compiacersi del bello a se stante senza mai essere in grado di renderlo utile per la narrazione. Questi preziosismi soffocano quando la sceneggiatura cerca di raccontare facendo perdere quel poco di ritmo che il film poteva avere. Artificioso, privo di senso dell’umorismo, prevedibile in ogni sviluppo diviene a tratti esasperante: oltre due ore sono tante, troppe per raccontare storie dallo sviluppo privo di emozioni.

Tre racconti concatenati per gli sviluppi comuni che le vicende possono avere, tre città testimoni e protagoniste di queste situazioni umane, un ideale racconto di unica storia d’amore che inizia a Roma, si sviluppa a Parigi, termina a New York interpretata da coppie solo apparentemente differenti tra loro.

Assolutamente deludente la parte che si svolge tra Roma e Taranto, con un’Italia raccontata alla maniera hollywoodiana, ricca di luoghi comuni e priva di interesse salvo quelli dei produttori che ricevono ricchi finanziamenti dalla Apulia Film Commission e dall’analoga del Lazio.

L’incontro tra i due protagonisti avviene in un triste locale chiamato Bar Americano dove Riccardo Scamarcio è lo svogliato barista che non capisce una parola di inglese, nemmeno hamburger e beer da lui tradotta dopo un po’ di tempo nel romanesco ‘bira’. Inutile dire che la bottiglietta è tenuta fuori dal frigorifero e che Adrien Brody commenta sull’inefficienza italiana. Lui è un uomo d’affari statunitense a Roma per interessi forse non completamente legali; in patria ha lasciato moglie e figlia di otto anni che gli telefona frequentemente. Nel locale incontra una poco credibile Moran Atias nel ruolo di zingara bella, elegante e dall’inglese forbito. La donna dimentica la borsetta con 5000 euro che le dovevano servire per liberare la figlia da cattivissimi che l’hanno rapita, lui la consegna al barista e al mattino i soldi non ci sono più. Lei pensa di essere stata derubata dall’americano, lui si innamora e decide di aiutarla sia finanziariamente che mettendo a rischio la propria vita accompagnandola dai loschi figuri.

Per rendere ancora più improbabile tutta la vicenda, la zingara sgomma nel centro storico di Roma con una scassatissima 126, e anche qui è tutto ad uso dei luoghi comuni sull’Italia. Per peggiorare, se possibile, sempre lei a Taranto guida alla stessa maniera una 500 blu. Brutto, bruttissimo, questo episodio è anche male girato, con location prive di interesse e di credibilità.

Meglio a Parigi con Liam Neeson, scrittore premio Pulitzer con il crampo creativo, che nel lussuosissimo hotel dove soggiorna riceve le calde visite dell’amante Olivia Wilde che, per rendere meglio il personaggio, spesso si espone a nudi praticamente integrali che poco servono all’economia del film ma, probabilmente, aiutano non poco al box office.

Lui non se la sente di impegnarsi, dagli Stati Uniti riceve telefonate della ex moglie Kim Basinger, ha momenti di fuoco con la Wilde che si alternano ad altri di violento rifiuto e di umiliazione, costringendola ad esempio a tornare nuda alla sua camera attraversano innumerevoli piani e corridoi.

Neeson ripete un personaggio che gli riesce bene, pensoso e in continua crisi esistenziale, Olivia Wilde tutto sommato se la cava egregiamente e riesce a fare dimenticare le eccessive strizzatine d’occhio della sceneggiatura verso un pubblico ritenuto poco intelligente e condizionabile.

Tra alti e bassi la parte realizzata a New York con una ragazza madre che rischia di perdere il figlioletto a favore del padre naturale perché  accusata di avere tentato di uccidere il piccolo. Mila Kunis, cameriera di Grand Hotel un po’ distratta e maldestra, è brava e sopravvive ad alcuni momenti non felice dello script, James Franco è il poco convinto padre che si sta battendo per ottenere la custodia definitiva del bambino. Momenti buoni, altri troppo melensi.

Sembra che Higgins ami molto le ambientazioni negli hotel tutti ai massimi livelli, salvo ovviamente il secondo dove va in Italia Adrien Brody. Ma, più prosaicamente e guardando i titoli di coda con attenzione, si capisce che tra gli sponsor ci sono due note compagnie alberghiere. A peggiorare la sopportabilità di questa raffinata e vacua prova di stile, gli invasivi violini della colonna sonora composta da Dario Marinelli. La speranza è che il sessantenne canadese si faccia affiancare nelle sue prove d’autore da un altro sceneggiatore che gli faccia notare le incongruenze e che lo aiuti a dare più vigore al girato.

TRAMA

Tre coppie vivono in altrettante metropoli le loro storie personali. A Parigi, uno scrittore da poco separato dalla la moglie ed in crisi creativa, riceve le visite dell’amante che non può impegnarsi con lui a causa di un terribile segreto. A New York ragazza madre è stata accusata di voler uccidere il figlio; il figlio è affidato al padre Rick che tenta di ottenere la custodia definitiva del bambino. A Roma uomo d’affari americano in triste bar incontra e si innamora di zingara; ben presto si ritrova invischiato in una situazione pericolosa quando la figlia della donna viene rapita e viene chiesto un riscatto per liberarla.


di Redazione
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