T2 Trainspotting

Dopo il fortunato Trainspotting, lo scrittore scozzese Irvine Welsh pubblica Porno: i personaggi sono gli stessi, non più alle prese con l’eroina ma con il tentativo di aprire un business legato al mondo della pornografia. Da qui riparte il regista Danny Boyle, facendo però del romanzo un mero input narrativo, per concentrarsi invece, quasi ossessivamente, su un serrato confronto passato-presente. Perché T2 Trainspotting, ambientato non dieci ma venti anni dopo il primo capitolo, nel bene e nel male ruota tutto attorno a un unico motivo, ovvero la nostalgia. Nostalgia non di un dove, è chiaro, ma di un quando. Nel primo film la lotta quotidiana con l’eroina, amata e odiata, era logorante, terribile, spesso disgustosa; ma i protagonisti avevano ancora, davanti a sé, il tempo e la possibilità di cambiare, di “scegliere” (sebbene entro un sistema i cui aut aut erano, in ultimo, crudelmente illusori, come sottolineava il sarcasmo disilluso di Renton). Il loro autolesionistico, aprioristico, nichilista essere contro era anche, a ben guardare, una tappa obbligata, dettata dall’età.

La società insomma traccia una linea di confine, o si è dentro o si è fuori: se essere oltre questa linea a venti anni significa essere inscritti, romanticamente, nel topos della ribellione, esserlo dopo – con un bypass cardiaco, con l’imbarazzo imposto dalla necessità del Viagra – non è più divertente, ma solo patetico. Non è più un fatto voluto, gridato quasi con orgoglio; non è più il singolo che si pone al di fuori (al di sopra) della società, ma è quest’ultima che spietatamente alza muri sempre più difficili da valicare. Ed è proprio in questo punto nevralgico, nell’incrocio inevitabile del prima e del dopo, nella malinconia struggente del ricordo che Boyle innesta il suo discorso. E lo fa – come avveniva anche in Trainspotting – slittando continuamente dal dramma alla farsa, insinuando l’amarezza nella comicità e il grottesco nel tragico.

Certo, rispetto al primo capitolo, i toni sono smorzati e tutto sembra ritornare nei ranghi di una monotona – sebbene non rassicurante – “normalità”, dentro e fuori la messa in scena: la bellissima colonna sonora vive di continui rimandi (come tutto il film, del resto), ed è più una celebrazione del passato che la promessa di un’apertura al futuro; la visionarietà libera, graffiante e psichedelica che aveva reso il primo film così allettante e accattivante ora è relegata a brevi passaggi, per lo più – coerentemente – giustificata dalla presenza dell’eroina o dalla vicinanza con la morte.

Forse non potrebbe essere altrimenti, perché non è possibile replicare la portata innovativa della potenza figurativa e stilistica di un film come Trainspotting, raccontando una vicenda che nuova non è. Senza contare poi che il termine di paragone è non solo e non tanto il film in sé – valido e originale sì, ma al pari di tanti altri – ma piuttosto l’eco che questo ha suscitato, il suo impatto con il grande pubblico in un momento in cui gli spettri dell’eroina e dell’AIDS erano più vivi di quanto oggi non siano.

Ecco allora che T2 si nutre di (auto)citazioni, non per pigrizia o per furbizia, ma perché il gioco messo in piedi con lo spettatore si fonda volontariamente proprio su questo: amplificare l’abisso temporale, lo scarto, il vuoto, il senso di fugacità, di precarietà. E mostrare con lucido disincanto che tutto cambia, ma tutto resta uguale. Che c’è chi è condannato in partenza e chi invece – vedi l’avvocato Diane – ha imboccato da subito un’altra strada, e ha saputo giocare col fuoco senza scottarsi.
Le rughe sui volti degli attori sono nuove, eppure loro sono ancora gli stessi outsiders disperati, sempre pronti a tradirsi a vicenda. A cominciare da Simon (non più Sick Boy), che vive alle spalle di una giovane prostituta bulgara, filmandone e ricattandone i clienti. Passando per Mark, che dopo un lungo, sereno intervallo ad Amsterdam – reso possibile anche dal denaro rubato agli amici – torna da loro solo perché spinto dal bisogno, dalla paura, dalla solitudine. Infine Franco (Francis Begbie), ancora più folle, violento e spietato che nel primo film, rivolge ora la sua rabbia proprio contro Mark. Solo Spud, ancora una volta, si salva: non dall’eroina (ed è l’unico) ma dal giudizio di Boyle. Perché lui, a differenza di tutti gli altri, è incapace di fare del male al prossimo. E per questo, per la seconda volta – nonostante le sue tante sfortune – in ultimo verrà premiato. Il furto e il tradimento, con cui si chiude anche questo secondo capitolo, mutano invece di segno: se Mark tradiva “per cattiveria”, per egoismo, Nikki (la prostituta) lo farà con delle giustificazioni un po’ più solide.

Insomma, la disamina della società non cambia, anzi si aggiorna alla versione 2.0, e la domanda di fondo resta la stessa: è possibile essere dentro senza essere ipocriti e infelici, senza rinunciare alla libertà in cambio della sicurezza? E’ possibile restare fuori senza essere annientati, divorati, annichiliti?

Trama

Dopo vent’anni Mark Renton torna a Edimburgo, dagli amici che ha tradito senza rimorsi. Ritrova Simon (Sick Boy), che ora è un cocainomane e vive alle spalle di una giovane prostituta, e Spud che non è mai riuscito a liberarsi dalla dipendenza dall’eroina. Il violento e pazzoide Franco (Begbie) ha invece passato gli ultimi anni in carcere, a meditare una vendetta contro Mark.


di Arianna Pagliara
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