Sarà il mio tipo? E altri discorsi sull’amore

Nessun contesto culturale cui agganciarsi e neppure vistose eccentricità di argomento; nessuna dimensione d’autore ostentata; nessun divo o antidivo da esibire (chi ricorderà la protagonista, comunque irriconoscibile, di Rosetta dopo 15 anni?); nessun premio famoso (solo Magritte ottenuto e nomination ai César); nessun appeal ideologico o festivaliero: può un film con queste modeste – nulle? – credenziali essere bello, anzi quasi bellissimo? Domanda retorica, ma non troppo.

La risposta affermativa è Sarà il mio tipo?. La storia del maschio intellettuale, ma cinico, e della femmina incolta, ma vitalista, è facile e certo non inedita, e anche un po’ rischiosa sul fronte del politicamente corretto. Eppure il film, tratto da un romanzo di Philippe Vilain dallo stesso regista, vive di una sua piena autonomia su quanto di più ovvio ci sia: il cinema. Quella cosa fatta di inquadrature, gesti e parole al loro interno, tempi drammatici, sviluppi narrativi, interpretazione, insomma messa in scena. Fin dalla prima sequenza, intervallata ai titoli di testa, veniamo a sapere quasi tutto delle capacità, o incapacità, sentimentali del protagonista, un uomo che delude e fa soffrire una donna senza provarne particolare turbamento. E poco dopo un’altra fugace apparizione femminile conferma quella freddezza. Neppure l’incontro con una collega, lei pure insegnante di filosofia, che si entusiasma culturalmente a citare argomenti sollevati dal libro del professore pare smuovere emotivamente il nostro. Ci vorrà invece qualcosa di estraneo alla sua esperienza, favorito probabilmente dall’essere scosso per il trasferimento nella piccola città di Arras, a un’ora e mezza dalla città di residenza, la per lui irrinunciabile Parigi.

Ecco allora l’ingresso in scena della bionda parrucchiera: che appare inizialmente quasi stucchevole nella sua vivacità, con un’esistenza chiusa tra il maneggiare acconciature, fare karaoke con le colleghe, affidare il suo immaginario a letteratura e cinema popolari, e infine crescere da sola un figlioletto. L’incontro e l’intesa tra i due saranno da loro stessi presto analizzati all’insegna del caso e del destino. Inevitabilmente sarà lei a entrare – a cercare di entrare – nella vita di lui, definendolo «gattone filosofo» e buscandosi a sua volta l’etichetta  di «parrucchiera kantiana», per via di una sua riflessione sulla bellezza. Ma il gesto della parrucchiera di regalare un libro all’uomo che le fa vivere una così insolita storia (che lei non vuole vivere come un’avventura) porterà a una svolta il loro rapporto. In libreria infatti la parrucchiera scorge e acquista un libro di lui proprio sull’amore e il caso. Seguirà una sorta di resa dei conti, distendendo e arricchendo la narrazione di risvolti in cui gli echi rohmeriani diventano minnelliani, del capolavoro di Minnelli: il Qualcuno verrà che diceva appunto di uno scrittore e di una ragazza semplice che amava senza capire.

Nel film di Lucas Belvaux non c’è l’ampia articolazione, anche sociale e familiare, del film di Minnelli. Anche se le due brevi scene del protagonista con i genitori sintetizzano assai efficacemente i rapporti familiari. In Sarà il mio tipo? (il cui titolo originale, lo stesso del romanzo da cui il film è tratto – Pas mon genre – riprende le tre parole conclusive del proustiano Un amore di Swann) è tutto distillato nel rapporto a due, il resto è né più né meno che sottile cornice. Spessa è invece la civiltà cinematografica che attraversa il film, e che fa sentire in colpa chi scrive per non conoscere un cineasta – regista, sceneggiatore, attore – in attività da quasi vent’anni, perché non può essere casuale tanta maestria nel fare cinema.

Insomma, quegli stacchi di montaggio che giuntano rumori e silenzi, quei rari movimenti di macchina che sembrano far scoprire la bellezza del ravvicinamento di un volto, quell’ambientazione in una cittadina vissuta inizialmente con ostilità dal protagonista, tutto questo fa rivivere un’umanità ormai rara sullo schermo. Un’umanità esaltata dalla protagonista, émile Dequenne, che ha dato vita a un personaggio memorabile, il cui vertice espressivo è l’emozionante esecuzione finale della canzone I Will Survive. Come si dice, quindi, Lucas Belvaux va tenuto d’occhio. Come un autore, vero.

TRAMA

Un professore di filosofia parigino viene trasferito contro la sua volontà in un liceo della piccola città di Arras. I tre giorni alla settimana che vi deve trascorre vengono presto allietati dalla relazione che avvia con una parrucchiera, tanto brillantemente estroversa quanto lui è chiuso nei dubbi esistenziali. Riflessioni disinvolte su grandi autori letterari e filosofici animano i loro incontri, ma ben presto però la loro intesa fisica e il sincero innamoramento di lei si scontrano con la differenza sociale e culturale tra i due.


di Massimo Marchelli
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