Mortdecai

Sono ormai almeno cinque film che Johnny Depp non riesce a trovare il soggetto giusto che gli permetta di dare vita a una interpretazione interessante. Il pur bravo attore sembra quasi alla ricerca della propria autodistruzione, con la scelta di personaggi difficilmente in grado di aggiungere qualcosa al suo profilo artistico. La sindrome da Jack Sparrow l’ha portato ad accettare personaggi grotteschi, a tratti divertenti, ma che sembra lo stiano lanciando inesorabilmente verso il viale del tramonto. Willy Wonka, Sweeney Todd, il Cappellaio Matto, Tonto in The Lone Ranger (2013) l’hanno reso monocorde nel mondo del grottesco, pericoloso anche se preso a piccolo dosi.
Qui il risultato è quasi peggiore perché si è costruita una commedia pseudo britannica con tutti i luoghi comuni che i cugini statunitensi potevano immaginare, aggiungendo ridicolo al ridicolo.

La base da cui è partita la sceneggiatura aveva tutte le caratteristiche per poter funzionare, con un personaggio che ha tuttora un buon successo, non solo in Inghilterra, creato da Kyril Bonfiglioli, scrittore che ha inserito molto della suo vissuto in Mortdecay. Figlio di un italo-sloveno dalla vita burrascosa e di una tranquilla ragazza inglese, è stato anche lui, come il suo eroe, mercante d’arte di buon successo ma anche direttore della rivista Science Fantasy. Proprio questa sua esperienza all’interno di una testata nata nel 1950, e praticamente fallita nel 1964, per lui è stata molto importante. Assunto per cercare di farla rivivere, cambiò il nome in Impulse all’inizio del 1966, dando vita a un po’ di confusione tra i potenziali lettori (perdendo dunque vendite) ma creando anche vari personaggi.

Tra questi Mortdecai che ,negli anni settanta, fu protagonista di tre romanzi che ebbero grosso successo perché nella scrittura ricordavano molto uno dei miti della letteratura britannica, Pelham Grenville Wodehouse, che lo considerò come suo figlio d’arte dopo avere letto il primo libro pubblicato nel 1973.

Le atmosfere del film ricordano i libri dell’inventore del maggiordomo Jeeves, raffinato sia nel linguaggio che nei comportamenti. Ma in mano ad uno sceneggiatore mediocre come Eric Aronson, che aveva scritto assieme a Paul Stanton il veramente mediocre On the Line (2001), tutto si trasforma in farsa di basso livello.

Nella saga dei luoghi comuni, i britannici vengono dipinti come “stupidotti” dal parlare forbito ma dalla scarsa intelligenza. Ogni situazione è adatta per rimarcare queste caratteristiche, finendo per essere ripetitivo e noioso.
Per creare il personaggio, si è ispirato al primo romanzo ma ha preso a piene mani anche dall’ultimo, quello in cui appaiono i baffi. La moglie del mercante d’arte è una specie di sua invenzione che riesce ad avere visibilità solo per la bravura di Gwyneth Paltrow.  I baffi sono i veri protagonisti del film, carezzati, pettinati, coccolati da Mortdecai ma che creano conati di vomito nella sposina quando si baciano sulla bocca.

Viene in mente Poirot ma, soprattutto il bravissimo caratterista britannico Terry Thomas, a cui gli autori si sono sicuramente ispirati per creare la maschera di Depp.
Altro preciso riferimento è l’ispettore Clouseau di Peter Sellers nei film della Pantera Rosa. Stupidità e fortuna degli imbranati, che nei film di Blake Edwards erano la base di tutta la costruzione della storia; oltre a questo, Sellers aveva i baffi. Basterà vedere la scena in cui a Depp cade la pistola per terra e che colpisce con precisione cattivi e buoni per capire che l’opera del regista maestro della commedia, è stata per Mortdecai fonte di ispirazione. Le citazioni, o copiature, sono molte e si cerca di farle passare come omaggi; l’impressione che si ha è di essere, invece, di fronte ad un prodotto dalla cronica assenza di idee.

Alla guida di questa non riuscita impresa c’è David Koepp, soggettista assieme a Steven Zaillian del valido Mission: Impossible (1996), brillante sceneggiatore di Spider-Man (2002) di Sam Raimi e di tantissimi altri bei film, qui anche corresponsabile dello script. L’impressione che si ha è di essere di fronte ad un autore che teme l’originalità e ha paura di fare qualcosa che non vada bene a Johnny Depp, qui anche produttore. Scaturisce un’opera che è un ibrido tra il bellissimo tocco British dei romanzi di Kyril Bonfiglioli e la grana grossa del cinema statunitense, nel cercare di renderlo sullo schermo attraverso una commedia con linguaggio forbito e uno sviluppo visivo grossolano, una sceneggiatura che ha rinunciato a molto dei libri per creare un qualche cosa che, a tavolino, poteva fare pensare a un successo.

Ma così non è stato, e il flop al box office statunitense ne è una chiara indicazione. Con un costo di oltre 60 milioni di dollari, fino ad ora ne ha incassato in tutto il mondo meno di 25 milioni. È già in lavorazione il DVD in cui si dovrebbe vedere molto del girato non presente nel film per tentare di dare maggiore ritmo alla vicenda.

I tre romanzi di Kyril Bonfiglioli pubblicati nel Regno Unito dal 1973 al 1978, ed il quarto uscito postumo nel 1999 a firma di Craig Brown, potevano essere una perfetta base per una commedia d’azione vecchia maniera, ma se era questa l’intenzione, si è dispersa nel corso della realizzazione. La sceneggiatura è macchinosa ma non originale e racconta senza coesione il rapporto affettivo del mercante con la moglie e gli spostamenti in giro per il mondo con cattivissimi sempre in agguato. Il linguaggio dovrebbe rendere le atmosfere della vecchia Inghilterra ma, alla fine, stanca e fa perdere interesse ad ogni cosa. Non solo non si avvicina al mondo di Blake Edwards ma nemmeno a quello più fracassone di  Austin Powers. Da un esperto sceneggiatore quale è Koepp, ci si poteva e doveva aspettare qualcosa di meglio.

Gwyneth Paltrow riesce a utilizzare al massimo il suo mestiere e rende perfino simpatica la moglie poco appariscente di Depp. Ma troppe poche battute, per di più inserite tra scene d’azione che portano lo spettatore a disinteressarsi dei dialoghi. Ewan McGregor è l’agente dello spionaggio britannico che chiede a Mortdecai di aiutarlo nel recupero di tela del Goya in cui si pensa sia nascosta la chiave per raggiungere il tesoro dei nazisti. Poco visibile ma funzionale. Olivia Munn e Jeff Goldblum, protagonisti della parte ambientata negli Stati Uniti quale miliardario e sua figlia (nei libri era sua moglie), riescono a fare dimenticare la povertà della sceneggiatura che poco offre loro per apparire.

L’unico personaggio divertente e bene costruito è il Jock di Paul Bettany. Alle dipendenze del mercante ne è l’autista che cura amorevolmente la Rolls Royce del padrone, il giardino della villa, gli porta i bagagli in camera. Ma è anche un combattente che massacra tutti gli avversari e a volte li uccide a sangue freddo. Inoltre, è forse l’unico amico del suo datore di lavoro. Equilibrato nelle varie sue caratteristiche, questo personaggio rilassa quando entra sullo schermo: si ha la sicurezza di avere qualche minuto meno banale e meglio riuscito.

Trama

Charlie Mortdecai è brillante, carismatico, aristocratico tipico figlio dell’Inghilterra raffinata e conservatrice. Occasionalmente mercante d’arte un po’ truffaldino, è sull’orlo del lastrico con forti debiti nel confronto dello stato britannico; per questo è costretto di accettare di lavorare per il controspionaggio per potersi permettere di continuare a coccolare sua moglie, pascersi del lusso più sfrenato, bere brandy di grande qualità. Armato solo del suo fascino, gira il mondo cercando di gestire un branco di russi inferociti e i servizi segreti inglesi, in una corsa contro il tempo per recuperare un dipinto rubato che dovrebbe contenere il codice di accesso a un conto bancario in cui è stato depositato l’oro dei Nazisti. Mille pericoli, avventure e disavventure e il terrore di rovinarsi i baffi a manubrio che ama quasi più della moglie.


di Redazione
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