Liberi

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liberiAnalizzando il percorso filmografico di Gianluca Maria Tavarelli, possiamo scoprire come tutti i suoi film (Portami via, 1994; Un amore, 1999; Qui non è paradiso, 2000), sembrano proiettare la bidimensionalità del cinema (spazio e tempo) e i personaggi che li abitano, lungo un percorso tortuoso e diseguale. Dapprima uniti, poi inseriti in precise linee rette parallele che forzano per entrare in contatto, venendo poi necessariamente obbligate a percorrere due strade differenti. Alla fine non rimane altro che riprovare in maniera capovolta, quello spiacevole senso di impotenza, mascherata da principio di vittoria/sconfitta.

Anche in Liberi accade qualcosa di simile. Due generazioni si scontrano e confrontano in una Pescara battuta continuamente dal sole. Padre e figlio, Cenzo e Vince, abitanti di Bussi, paesino abruzzese arroccato tra le montagne. Il primo è un operaio appena licenziato dalla Montedison, dopo trent’anni di lavoro (principio sociale del film), mentre il secondo è un’adolescente con la voglia di scoprire il mondo e innamorarsi, che scappa da una realtà a lui ostile (principio esistenziale del film). liberiIn mezzo a loro la macchina da presa affianca due donne, (in)consce causa ed effetto del loro agire. La distanza che separa padre e figlio non riguarda solo un fattore propriamente generazionale, comprensibile elemento di progressione e (im)maturità, che nel film si sviluppa a tratti in maniera fin troppo schematica, rischiando a volte di trasformare il divario in abisso. Il flusso delle energie si sposta allora su due fronti opposti. Nonostante ciò, il dato di partenza del film vede Vince e Cenzo alla ricerca di qualcosa che hanno perduto e che devono necessariamente riconquistare, sotto una spinta che parte direttamente dalle viscere del loro corpo. Quindi ci troviamo all’interno di un ipotetico punto d’incrocio, che nelle mani di Tavarelli si universalizza, staccandosi quasi completamente dal tessuto sociale che lo ha in qualche modo generato.

La nascita di quest’enorme paradosso, proietta da un lato Cenzo, verso una completa dispersione di questo magna interno, sconfitto da una dipendenza quasi totale verso chi lo circonda e lo ama/odia (ribaltamento del principio sociale in esistenziale). Dall’altro, Vince si ribella nei confronti di un’utopica libertà sognata, immergendosi appieno e inconsapevolmente, all’interno del tessuto sociale dal quale cercava di fuggire (ribaltamento del principio esistenziale in sociale). Dentro e fuori, al di là delle convenzioni ma in perfetta sinergia con esse.


di Davide Zanza
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