Le origini del male

Vedere il nome della britannica Hammer Productions legato a un horror fa piacere; dà la sensazione che il tempo si sia fermato e che si possa finalmente vedere qualche film in cui la paura non sia connessa soltanto a qualche scricchiolio o a dozzinali effetti funzionanti più epidermicamente che non con profondità emotiva.
Fondata nel 1934, il suo nome è principalmente collegato agli horror prodotti dalla fine degli anni cinquanta fino agli anni settanta. Ha realizzato anche thriller, commedie, film di fantascienza e, negli ultimi anni, serie tv ma nulla che sia rimasto nell’immaginario collettivo. Durante quegli anni, grazie all’utilizzo della formula Hammer, la casa riuscì a rendere famoso l’horror in tutto il mondo. La paura partiva dalla psiche, i prodotti erano low cost ma molto curati, spesso gli sceneggiatori realizzavano contemporaneamente più film con gli stessi personaggi creando così la possibilità di pianificare le spese diluite su vari titoli. Un silenzio dal 1984 al 2006, poi la ripresa nel 2006 dell’attività soprattutto per Internet e televisione, il ritorno al cinema nel 2012 con The Woman in Black, con protagonista Daniel “Harry Potter” Radcliffe, un film che ha incassato moltissimo diventando l’horror britannico di maggior successo degli ultimi decenni.

Con Le origini del male siamo a un livello di normalità; il film è un buon horror ma assolutamente prevedibile in sua ogni parte, a dimostrazione che sceneggiature realmente innovative sono quasi inesistenti. Affidato a John Pogue, qui alla seconda prova da regista dopo il mediocre Quarantena 2 (Quarantine 2: Terminal, 2011), è scontato in ogni parte ma ha una certa raffinatezza nella realizzazione che ne fa quantomeno prodotto interessante che difficilmente delude, anche se quasi mai entusiasma.

L’ambientazione temporale è curata, le tecniche di ripresa gradevoli, gli spezzoni di film in bianco e nero realizzati col solito found footage che rende più plausibile l’idea che si stiano osservando documenti visivi autentici, microfoni che reagiscono con disturbi elettrici, crepitii e scoppiettii, l’utilizzo di un mix di formati diversi, l’uso del fotogramma bruciato a fine del rullo, la tecnica di ripresa databile alla fine degli anni sessanta, le attrezzature che montano, i diversi strumenti che utilizzano per catturare l’energia negativa e canalizzarla sono molto evocativi ma anche spaventosi e divertenti allo stesso tempo, donano un sapore retrò che permette di non notare troppo alcuni momenti in cui la credibilità è quasi a livello zero. Alcune sequenze del film ricostruiscono il passato del professor Coupland, richiamando alla memoria una dei suoi primi casi, quello di David Q, un precedente rispetto a quello della ragazza e il cui trattamento era stato misteriosamente interrotto tacitando voci di possessione.

È vero, ci sono molte urla ma non nello stile di tanto horror di serie B prodotto soprattutto negli Stati Uniti: qui chi grida lo fa per paura non di una visione ma di un carico di emozioni che lo rende più fragile. La scelta di non fare vedere la presenza ma di immaginarla attraverso ombre, ferite inferte ai vari protagonisti, lanci di persone che volano e cadono facendo coreografiche capriole risulta vincente perché, almeno, si evita il ridicolo di qualche effettaccio per trasformarlo in personaggio che interagisce con gli altri anche visivamente. È  anche azzeccata la scelta del tipo di squadra che affronterà l’esperimento composta da un professore scettico sul paranormale, due studenti dotati ma che amoreggiano tra loro, e con la ragazza non insensibile al fascino del uomo maturo, il cineoperatore che vede questa avventura come una possibilità di uscire dalla noia del suo lavoro all’Università per realizzare finalmente qualcosa di suo.

Al centro di questa pazza ricerca che rischia di creare situazioni irreversibili c’è una ragazza dall’aspetto impaurito che si lascia facilmente convincere ad essere cavia di questi studiosi che la utilizzano come un oggetto a cui tutto si può fare. È una ragazza difficile che ha vissuto gli anni della formazione passando da una famiglia affidataria ad un’altra e considera questo team come un fatto positivo, persone che finalmente si occupano di lei per quello che è.

Si sottopone volontariamente all’esperimento, laddove altri si sarebbero spaventati all’idea di restare chiusi in una stanza ed essere sottoposti ad uno stress psicologico estremo. Quando appare sullo schermo per la prima volta è già seguita dal professore da circa sei mesi. Ha deciso che questa è un’ottima possibilità per evitare l’ospedale psichiatrico, lo segue perché è davvero convinta che l’esperimento possa realmente aiutarla: è vittima soltanto della sua ingenuità che la costringe a fidarsi troppo di quelli che spesso divengono i suoi carnefici.

Vuole sconfiggere il male che sente la pervade e accetta di fare qualunque cosa il ricercatore le chieda, anche quando le cose cominciano ad andare completamente fuori controllo e i momenti in cui non è sottoposta agli esperimenti iniziano ad essere popolati da presenze sempre più invasive.

Rischia varie volte di morire ma grazie all’aiuto dell’innamorato operatore deve essere sempre aiutata ad uscire dalle situazioni estreme create dai ricercatori nonostante il loro disinteresse. Inutile dire che in molti muoiono e chi rimane in vita rischia di trascorrere il resto dei suoi giorni in un manicomio. In tutta questa fiera dell’ovvietà è presente una certa raffinatezza, la ricerca del particolare visivo, l’inquadratura che tenta di scrutare anche l’interiorità dei personaggi.

Jared Harris, figlio di Richard, interpreta il ruolo del professore a cui riesce a donare credibilità. Padre bonario o dispotico, altezzoso o terrorizzato, dominatore degli esperimenti o dominato Harris mantiene sempre una certa credibilità. Mediocri gli interpreti dei suoi due studenti mentre il video operatore ha discreta forza drammatica e credibilità interpretativa.

Trama

Siamo nel 1974. Nascosto in una tenuta appena fuori Londra, il professor Coupland, noto docente dell’Università di Oxford non più finanziato per i suoi studi dall’ateneo, aiutato da un gruppo di studenti conduce un esperimento su Jane Harper, ragazzina che cela segreti inconfessabili. I ricercatori, coadiuvati da un giovane operatore che lavora per l’università e che filma i momenti salienti di questa esperienza scientifica ed umana, finiranno col risvegliare forze oscure più terrificanti di quanto avrebbero mai potuto immaginare.


di Redazione
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