La chiave di Sara

In occasione del Giorno della Memoria – 27 gennaio  (per concessione dell’autrice e della testata giornalistica Cultframe – Arti Visive), CineCriticaWeb pubblica la recensione del film La Chiave di Sara.

Dopo il recente Vento di primavera (2010), la Francia torna a rappresentare nel cinema un episodio vergognoso del suo Novecento: il rastrellamento compiuto nel luglio del 1942 dalla polizia parigina a danno di più di 13000 ebrei, dei quali circa 8000 vennero rinchiusi in condizioni disumane per cinque giorni nel Velodromo d’inverno (il Vel d’hiv) per poi essere deportati prima in campi di raccolta francesi e poi nei campi di sterminio nazisti.

Tratto dal romanzo omonimo della scrittrice anglo-francese Tatiana de Rosnay, La chiave di Sarasceglie una strada diversa rispetto al melodramma di pura ricostruzione storica. Passato e presente si intersecano attraverso la vicenda di una giornalista franco-americana impegnata a scrivere oggi un articolo sull’episodio del Vel d’hiv. Nel periodo in cui sta svolgendo queste ricerche, la donna progetta di trasferirsi nell’appartamento parigino in cui è cresciuto il marito, nel Marais, e finisce per scoprire che i suoceri subentrarono in quella casa a una coppia di ebrei deportati e uccisi proprio nel 1942.
Quando viene a sapere che i due figli della coppia, Sarah e Michel, non furono deportati, la giornalista si lancia appassionatamente in un lavoro di ricostruzione dei loro destini attraverso archivi, incontri, viaggi intercontinentali. La sceneggiatura intreccia perciò la storia della donna con quella della piccola Sarah che il giorno del rastrellamento volle salvare il fratellino chiudendolo a chiave in un armadio a muro. Nelle sequenze storiche, la messa in scena evita didascalici eccessi di retorica adottando soprattutto il punto di vista della bambina interpretata in modo molto efficace da Mélusine Mayance.

Il film si spende però molto nel ritratto emotivo del personaggio interpretato da Kristin Scott-Thomas che con la sua bellezza da anti-diva interpreta sempre più spesso ruoli di donne dalla psiche complessa in pellicole che non di rado peccano per il ridondante intimismo (Ti amerò sempreL’amante inglese, Contre toi). Il risultato è un film che sceglie la chiave sentimentale per testimoniare una vicenda del passato e per attrarre così anche un pubblico non interessato ai film d’ambientazione storica.

La questione delle case dei deportati ebrei subito occupate da nuovi inquilini è una vicenda tanto odiosa quanto poco raccontata, che in questo caso rappresenta però solo lo spunto iniziale, per quanto importante, della storia. Al cinema il fenomeno era già stato evocato in un lavoro di tutt’altro genere, Shoah di Claude Lanzmann, che lo faceva emergere con la sua peculiare insistenza nello scandagliare i dettagli della storia durante alcune delle interviste agli abitanti di un villaggio polacco.
Cultframe – Arti Visive


di Redazione
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