Il passato

Sergio Di Giorgi firma la recensione del film del regista iraniano Asghar Farhadi, presentato in concorso al 66. Festival di Cannes.

Il passato

Prima di approdare alla regia cinematografica, già più di dieci anni fa, Asghar Farhadi aveva maturato esperienze anche in teatro. Non a caso, il suo cinema rivela scelte di metodo precise e rigorose, dal lavoro di immedesimazione degli attori con i loro personaggi alla lunghezza delle prove. Ma ciò che è più evidente nei suoi film -almeno in quelli a noi noti- è il talento che Farhadi possiede tanto nella composizione drammaturgica che nella sapienza narrativa – questa sì propriamente cinematografica – delle sceneggiature. Una scrittura abilissima nell’accumulare indizi e dettagli, non come artifici o espedienti ma tratti sempre dalla trama del racconto, nel  mettere a serrato confronto  i “punti di vista” – chiamando lo spettatore a un ruolo attento e attivo di decodifica, quasi fosse un detective, nell’esplorare in profondità le dinamiche della comunicazione tra noi e gli altri, siano essi sconosciuti  o persone care e vicine. Se About Elly (2009) era stato una rivelazione, un’opera di rara ed equilibrata intensità come Una separazione (2011) aveva fatto innamorare il mondo e conquistato premi pesanti, dall’Orso d’Oro di Berlino all’Oscar per il miglior film straniero. Esattamente due anni dopo quel piccolo capolavoro, giunge ora da Cannes 2013 il sesto lungometraggio di Farhadi che firma qui la sua prima coproduzione europea (franco-italiana, per noi c’è la BIM) e gira per la prima volta  fuori dall’Iran e in una lingua a lui straniera.

Siamo infatti a Parigi, dove giunge, da Teheran, Ahmad, richiamato dalla ex moglie francese, Maria, per firmare le carte del loro divorzio. Sin dalle bellissime scene iniziali, dentro e fuori l’aeroporto, il regista simboleggia chiaramente l’impossibilità di comunicare tra Ahmad e Maria come pure la distanza tra l’uomo e il contesto. Una Parigi, peraltro, che si vede solo in qualche scorcio, e più che del centro di una banlieue anonima e grigia di pioggia dove vive la protagonista (Bérénice Bejo, bella e brava, premiata miglior attrice sulla Croisette, dove comunque giocava in casa…). Il passato è infatti un film quasi claustrofobico, che si snoda per lo più in interni, immerso in luci scure, autunnali, o artificiali: la casa di Maria in primo luogo (che per fortuna ha un piccolo giardino attorno), la farmacia dove lavora, uffici pubblici, la tintoria dove invece lavora Samir (Tahar Rahim),  il compagno di Maria, dalla quale aspetta un figlio. La casa in realtà è già piena di figli, frutto delle precedenti relazioni della donna: “bucano lo schermo” la Lucie di Pauline Burlet  sempre in aspro conflitto con la madre, e il piccolo Elyes Aguis, che è invece Fouad, figlio di Samir, la cui moglie è in coma in ospedale, e che della narrazione  è un po’ il convitato di pietra. Farhadi conferma la sua grande abilità nella direzione degli attori e la capacità di farli muovere in spazi ristretti, anche se qua la mdp risulta meno mobile rispetto ad altri suoi film. La scelta vincente è soprattutto quella del bravissimo Ali Mosaffa nei panni di Ahmad (ulteriore conferma dell’alto livello recitativo della scuola iraniana), che rende a perfezione l’ambiguità e le zone d’ombra di un personaggio in fondo del tutto estraneo all’ambiente. Sin dal suo arrivo, Ahmad mostra di sé la parte “ragionevole” – cercando di continuo di  rendersi utile, di aiutare gli altri, di comprenderne o appianarne i conflitti  – ma finirà anche lui irretito dal passato, dalle sue reticenze e incomprensioni (a cominciare da quelle con la sua ex), e dalla ragnatela di segreti e bugie intessuta dai vari personaggi. Verso il finale Ahmad in effetti “scompare”, mentre il film vira vorticosamente verso le forme di un thriller psicologico che, ruotando attorno al suicidio della moglie di Samir, pone lo spettatore di fronte a continue false piste adombrando al tempo stesso, come è uso Fahradi, quesiti etici di non poco spessore.

Eppure, sarà per l’inevitabile confronto con la perfezione dei meccanismi di Una separazione, Il passato, nonostante i suoi indubbi pregi stilistici e narrativi e le presenze attoriali, non sprigiona quella stessa forza ed equilibrio. Non sembra mai “prendere aria” e rischia quasi di ripiegarsi su stesso. Come se, filmando lontano dal suo paese, al regista venga infine a mancare quello sguardo lungo – spesso dolente e ironico – sulla sua cultura. Una cultura dove l’ideologia e la religione continuano a rappresentare proprio il peso del passato di cui, nella dimensione privata, ci parla il film. Che, certo, è un’altra storia. Ma nella quale, senza il controcampo della dimensione collettiva, i rovelli morali dei protagonisti o la stessa fondamentale figura di Ahmad, iraniano a Parigi, non rivestono anche, a dispetto delle dichiarazioni del regista, una chiara valenza  simbolica o metaforica.

P.S. In questi anni Asghar Farhadi si è schierato a favore dei cineasti iraniani oppressi e per questo lui e le sue opere hanno subìto ostacoli e censure. A ricordarci quel  passato – peraltro  assai recente – è stato anche un film assai duro ma importante che abbiamo visto sempre a Cannes quest’anno (nella sezione Un certain regard) e che ci augureremmo  possa essere distribuito anche in Italia: Les manuscrits ne brûlent pas di quel Mahmoud Rasoulof, collaboratore di Jafar Panahi, anche lui condannato –come il regista de Il cerchio – a sei anni di carcere nel 2010. Coi loro film clandestini e coraggiosi questi registi continuano a sfidare le condanne e i bandi emessi contro di loro (e confermati in appello nell’ottobre 2011, nonostante gli appelli e le mobilitazioni internazionali). Panahi è stato condannato a 20 anni di esilio interno e al divieto di girare film. C’è solo da sperare che la delicata transizione sociale e politica dell’Iran ponga presto fine di queste terribili violazioni della libertà individuale ed espressiva.

Trama

Dopo quattro anni di separazione, Ahmad arriva a Parigi da Teheran su richiesta di Maria, la moglie francese, per espletare le formalità del loro divorzio. Durante il suo breve soggiorno, Ahmad scopre il rapporto conflittuale che Maria ha con sua figlia, Lucia. Gli sforzi di Ahmad per tentare di migliorare quel rapporto sveleranno i segreti del passato.


di Sergio Di Giorgi
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