Hugo Cabret

Riguardo l’ultima opera di Martin Scorsese sono state effettuate innumerevoli analisi, scritte molte recensioni, pubblicate lodi e previsioni in relazione al prossimo premio Oscar (undici nomination).
Hugo Cabret è senza dubbio un film denso di elementi significativi, a cominciare dall’omaggio al grande sognatore del cinema degli esordi:  Georges Méliès. E poi l’uso del 3D (a dire il vero l’aspetto meno interessante a nostro avviso), la straordinaria elaborazione scenografico/visuale alla base del lungometraggio, il sapiente ritmo del racconto (tratto dal libro di Brian Selznick The Invention of Hugo Cabret), la sublime e delicata leggerezza della vicenda, l’amore viscerale e debordante per il cinema, con particolare riferimento al muto e alle esperienze creative (ovviamente) di Auguste e Louis Lumière e Georges Méliès , Edwin S. Porter, Harlod Lloyd, Giovanni Pastrone, Charles Chaplin, Georg Wilhelm Pabst; e potremmo continuare a lungo.

Ciò che appare di estremo interesse, a parte quanto abbiamo già detto, è la capacità di Martin Scorsese di parlare di cinema attraverso il cinema stesso. In tal senso, Hugo Cabret è un pirotecnico e visionario, quanto coltissimo e appassionato, saggio sulla storia dell’evoluzione non solo del linguaggio filmico (in generale) ma anche delle poetiche dei più grandi autori della settima arte.  Questo lungometraggio risponde all’esigenza, già espressa da Scorsese nei documentari Un secolo di cinema – Viaggio nel cinema americano di Martin Scorsese (1995) e Il mio viaggio in Italia (1999), di divulgare la “bellezza” della cinematografia e la sostanza delle opere di alcuni tra i più importanti cineasti della storia della settima arte.

Ma la questione che ci ha particolarmente colpito, in relazione a Hugo Cabret, è la capacità da parte di Scorsese di collocare in maniera armoniosa e pertinente numerose citazioni da film (centrali nell’evoluzione di questa forma di espressione) rispettando il corpo e l’autonomia della narrazione della sua opera. Il regista di Taxi Driver ha in definitiva elaborato un lungometraggio tratto da un romanzo, inserendo nella struttura del racconto fattori narrativo/visuali riconducibili a passaggi fondamentali nella storia del cinema. Per tale motivo, Hugo Cabret è divenuto allo stesso tempo un film-film, un film-omaggio, un film-saggio (realizzato da un regista) e un film-divertissement (girato da un “Amatore” del grande schermo).

Le citazioni proposte attraverso inquadrature, movimenti di macchina, soluzioni di montaggio e situazioni narrative che potremmo evidenziare sono davvero parecchie. Ecco qualche esempio (senza un ordine preciso): Alfred Hitchcock (Giovane e Innocente, Vertigo), Jean Vigo (Zero in condotta), Fred C. Newmeyer e Sam Taylor (Preferisco l’ascensore, con Harold Lloyd), François Truffaut (I 400 colpi), Charles Chaplin (Il monello), addirittura Luis Buñuel (Il fascino discreto della borghesia, con riferimento alla scena del sogno nel sogno). E come non far correre il pensiero a tutte quelle pellicole (da Metropolis di Fritz Lang a Star Wars di George Lucas) nelle quali è stata “evocata/utilizzata” la figura dell’automa, dell’essere meccanico (robot) e/o non umano.

Dunque, Hugo Cabret è un concentrato di elementi filmici (posizionati con assoluta consapevolezza e brillante intenzione divulgativa) concepito per amore verso il cinema e desiderio di condivisione di questo amore con il pubblico.
Da non dimenticare, inoltre, l’apparizione di Martin Scorsese nei panni di un fotografo. Questa scelta, oltre a essere stata elaborata nel solco della tradizione hitchcockiana (innumerevoli sono i cameo dell’autore di Psyco nei suoi stessi film), rappresenta l’escamotage utilizzato da Martin Scorsese per collegare in modo profondo, e in maniera inequivocabile, il “sogno” delle immagini in movimento al “sogno/territorio” dentro il quale il cinema affonda le sue radici: la fotografia.

TRAMA

Hugo Cabret è un ragazzino senza genitori. Sopravvive nascondendosi in locali segreti all’interno di una stazione ferroviaria di Parigi. Durante le sue avventure si imbatte nello strano proprietario di un negozio di giocattoli e nella bambina che quest’ultimo ha cresciuto. Hugo scoprirà che il negoziante che gli mette tanta paura è in realtà Georges Méliès, uno dei padri della cinematografia. L’uomo per scelta aveva scelto di vivere nel più completo anonimato facendo credere di essere morto durante la prima guerra mondiale.


di Maurizio G. De Bonis
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