Giorni e nuvole

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giorni_e_nuvole-_soldiniL’essere precario oggi assume facce e contorni diversi. Come uno strano e ancora non ben definito male, può colpire chiunque. Beninteso, gli effetti non saranno mai gli stessi: è pur sempre una questione di classe. A volte però questa è una discriminante che non limita i danni provocati dall’evento. Come accade nella vita di Elsa e Michele, una famiglia che vive nell’agio in una grande casa nella bellissima città di Genova. Una figlia che ha potuto operare le sue scelte in completa e totale autonomia: invece che studiare Alice preferisce cogestire una piccola trattoria, felicemente. Elsa si è appena laureata in Storia dell’Arte. La sua grande passione è il restauro, tanto da decidere di lavorare, senza essere retribuita, ad un grande progetto che riporterà alla luce un importante e misterioso affresco. Michele. Beh, Michele ha una società e possiede una barca. Anzi aveva una società e una barca perché in realtà al tassello che sosteneva economicamente la famiglia è venuto a mancare il lavoro, estromesso dalla stessa attività che aveva creato. Da quel momento il virus della precarietà entra prepotentemente nella vita di tutti i componenti della famiglia, manipolandone gli umori e le sorti. Silvio Soldini firma uno dei rari esempi di cinema italiano che parte da una matrice scritta solida e credibile. La sceneggiatura, elaborata insieme a Federica Pontremoli, Francesco Piccolo e Doriana Leondeff ha il grande merito di tratteggiare dei personaggi che, pur rappresentando una porzione sociale ben circoscritta, crollano di fronte all’assoluta mancanza di certezze che la società contemporanea ci porta davanti tutti i giorni ma hanno la forza per reagire. La loro non è la matematica risultante di un progetto politico ed economico che tende ormai, volendo globalizzare il globo, a passare come ruspe su tutto e tutti. Questo dettaglio entra solo in parte: la società del Michele fondatore insieme all’amico è retta da regole di lealtà e onestà a costo di rimetterci del capitale. Quella dalla quale viene estromesso no, dilaniata in mille rivoli, decentralizzata, snella, più prosperosa negli incassi, un po’ meno nel destino di chi ci lavora, il che produce volontariamente il vero precariato, perché colpisce chi non si può difendere. Il ritratto di Soldini invece, ci mostra come anche di fronte alla perdita di tutto (la casa, il lavoro, la tranquillità affettiva, processi già acquisiti in passato) il proprio mondo, esiste, alla fine, un altro e ipotetico spazio da ricreare pur dovendo iniziare daccapo. Per scoprire, a questo punto, che esistono altre strade, che non si è certo sprecati a fare dei lavori al di sotto delle proprie aspettative, ma soprattutto che dietro le nuvole può nascondersi comunque un giorno. Ci sarà forse il caldo di un sole in piena primavera oppure una tiepida giornata autunnale, o addirittura, ma non in questo caso, un inverno rigido, ma comunque è sempre un giorno. Allora la precarietà diventa tappa (forse sarebbe meglio mai doverla sperimentare) per trovare in sé stessi una certa flessibilità che manca oggi all’organizzazione del lavoro della società italiana. Grande merito va alla regia che ha creato un quadro perfetto, una forte compattezza nei movimenti di macchina, capaci di affrontare i personaggi con la giusta dignità, nella luce che tratteggia una Genova bagnata da un mare di speranza, nell’armonia degli attori. Una Margherità Buy impeccabile e un Antonio Albanese in stato di grazia che passa dal registro comico al drammatico offrendo allo spettatore un rivolo di speranza in un mare di guai.


di Davide Zanza
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