Café Society

Quarantasettesimo film diretto da Woody Allen e anche il primo a essere girato in digitale per cercare di ridurre i costi di produzione, peraltro assommanti a oltre 30 milioni di dollari non coperti dalla circuitazione (fino ad ora in una ventina di paesi, USA compreso). Del resto, difficilmente i titoli di Allen rappresentano un’occasione di arricchimento per i produttori. Si punta molto sul mercato europeo – non a caso, ha aperto il Festival di Cannes (già altre due volte era stato scelta una sua opera) e chiuso il KVIFF di Karlovy Vary – ma anche il Vecchio Continente non sempre riesce a soddisfare le problematiche finanziarie per un tipo di film che, ormai, non riesce più ad entusiasmare.

Nulla di nuovo sotto il sole: l’ultraottantenne regista ha realizzato un’opera di routine caratterizzata dall’usuale eleganza, attenzione per le ambientazioni, scelta perfetta dei brani della colonna musicale che racchiude oltre trenta brani eseguiti, tra gli altri,  da Benny Goodman (da sempre il suo favorito) e Count Basie anche se la parte da leone la fa il sax baritono del sessantaquattrenne newyorkese Vince Giordano specializzato, con la sua Nighthawks Orchestra, nel jazz bianco anni 20’ – 30’.

Allen difficilmente tradisce ma, ormai da anni, non riesce più ad avere quella freschezza narrativa, l’idea geniale, la voglia realmente di fare cinema, elementi che contraddistinguono le sue migliori prove. Lavora molto (per il cinema realizza almeno un titolo l’anno)  ma più per dovere contrattuale che non per vera necessità di raccontare qualcosa agli spettatori.

Continua a volere essere autore unico, scrivendo senza condividere con nessuno sia il soggetto che la sceneggiatura, ma in un momento di carenza di idee forse sarebbe utile che accettasse l’idea di trovare validi collaboratori. Quando si finisce di vedere un film come Café Society, il problema più grande è che difficilmente si ricorda una scena particolarmente riuscita, che abbia divertito o coinvolto.

Ci fa conoscere personaggi della Hollywood anni ‘30 (il film è genericamente inserito in quel periodo) che sfuggono all’interesse degli spettatori, racconta dei gangster e della delinquenza con reiterati omicidi, con successive sepolture nel cemento; e poi della voglia di feste, di allegria forzosa per dimenticare la realtà statunitense non certo eclatante. Il gioco funziona discretamente per la prima metà del film, ma poi le ripetizioni cancellano l’attenzione e, seppure in maniera raffinata, annoiano.

La voce narrante, che presenta i vari personaggi e precede varie scene importanti, è quella di Woody Allen e nei dialoghi c’è tutto, ma proprio tutto, del suo essere autore- narratore ebreo che ha attraversato fino ad ora 66 anni della vita di telespettatori e di appassionati di cinema (aveva debuttato quindicenne nel 1950 con la partecipazione alla sceneggiatura di The Colgate Comedy Hour con Dean Martin e Jerry Lewis) non perdendo mai la sua identità.

Gli interpreti funzionano, a partire dal trentatreenne newyorkese Jesse Eisenberg, da lui diretto nell’imbarazzante To Rome with Love (2012), che potrebbe divenire un suo ulteriore alter ego, dal fratello gangster in ascesa Corey Stoll, per proseguire con l’equilibrato zio di Steve Carell, la piacevole segretaria/amante del uomo Kristen Stewart (innamorata forse sincera del giovane) e un notevole cast che comprende molti dei migliori caratteristi newyorkesi e non.

La leggerezza del film, la lievità nel trattare temi drammatici, come la delinquenza che piega gli USA, il desiderio di togliere momenti difficili anche alla storia d’amore, alla fine danneggia il film che mai trova un motivo di vero interesse.

 

La trama

 

Anni trenta, New York: una famiglia ebraica ha vita più o meno tranquilla e serena fino a quando il figlio minore decide di partire per Los Angeles per tentare la strada del successo nel mondo del cinema contando sull’aiuto dello zio uomo di successo ad Hollywood; il suo sogno è di fare strada e divenire agente cinematografico. Incontra una bella ragazza di cui si innamora e che scopre essere amante del parente;  grazie anche a lei, potrà vivere a pieno l’eccitante atmosfera della Cafè Society.


di Furio Fossati
Condividi